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Birmania, il Nobel per la pace Aung San Suu Kyi nega le violenze contro i Rohingya

Il premio Nobel Aung San Suu Kyi rompe il silenzio e interviene sulla crisi dei Rohingya denunciando la "disinformazione" da parte dei ribelli definiti "terroristi"

Birmania, il Nobel per la pace Aung San Suu Kyi nega le violenze contro i Rohingya

Si torna a parlare dei Rohingya, una delle minoranze più perseguitate al mondo (secondo i rapporto delle Nazioni Unite). Vivono sparsi tra diversi Paesi, tra Sud est asiatico e Medio Oriente. Di fede musulmana, in tutto sono circa due milioni. In Birmania da settimane è in corso una dura repressione: si parla di circa 125mila persone che sono fuggite in Bangladesh. La situazione è resa ancor più difficile dal fatto che il governo del Myanmar ha minato il confine con il Bangladesh, per evitare il rientro in patria di chi è fuggito.

Duramente contestata per il suo imbarazzante silenzio, la leader birmana Aung San Suu Kyi ha deciso di dire la sua. Parla di "disinformazione" da parte dei ribelli, li definisce "terroristi" e li accusa di diffondere "un iceberg di informazioni" sul conflitto, che sino ad ora ha provocato la morte di 414 persone e la fuga di decine di migliaia. San Suu Kyi si è espressa in questo modo nel corso di una telefonata con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ha parlato di una "campagna di stampa" per "promuovere gli interessi" del gruppo armato che combatte nello stato di Rakhine, dove vive un milione di musulmani. "Conosciamo bene cosa significhi la privazione di diritti umani e protezione democratica", assicura la Suu Kyi, e "assicuriamo che tutte le persone sono protette nel Paese".

Sul dramma dei Rohingya hanno acceso i riflettori anche le Nazioni Unite. Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha rivolto un appello al governo che fa capo ad Aung San Suu Kyi: "Si deve cambiare linea politica e riconoscere nazionalità e status sociale ai Rohingya musulmani, in modo che possano ottenere una vita normale, trovare lavoro e accedere all'istruzione",

Un altro Nobel, la pachistana Malala Yousafzai, nei giorni scorsi ha definito "tragico e vergognoso" il trattamento che viene riservato in Birmania alla minoranza musulmana: "Sto ancora aspettando - ha scritto su Twitter - che la mia compagna di Nobel per la pace Aung San Suu Kyi faccia lo stesso. Il mondo sta aspettando e i Rhoingya stanno aspettando". Quindi aggiunge, in un secondo tweet: "Fermate le violenze. Oggi abbiamo visto immagini di bambini uccisi dalle forze di sicurezza della Birmania. Questi bambini non hanno fatto del male a nessuno, eppure le loro case vengono bruciate e distrutte.

Se la loro casa non è in Birmania, in cui i Rhoingya hanno vissuto per generazioni, dov'è? I Rhoingya dovrebbero ottenere la cittadinanza birmana, il paese in cui sono nati".

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