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Anarchici in ritirata: con gli alpini a Trento trionfano i tricolori

Bandiere su tutti i balconi e insulti cancellati per la festa: "Siamo noi i custodi della pace"

Anarchici in ritirata: con gli alpini a Trento trionfano i tricolori

Le avanguardie rivoluzionarie sono tornate in retroguardia, i muri delle strade principali di Trento sono puliti da scritte come «alpini assassini» oppure «una faccia da fiumi di vino, un cappello da lago di sangue»; tolti gli striscioni, scomparsi i volantini firmati «Saperi banditi» che nei giorni scorsi hanno bollato gli alpini come «corpo militare coinvolto nell'orrore della guerra sempre a braccetto con Mussolini». I tricolori pendono da ogni finestra della facoltà di sociologia, epicentro delle proteste studentesche. Il portone è chiuso, ma davanti passano fiumane di persone: lungo via Verdi è allestito il Villaggio alpino con gli stand degli sponsor dell'adunata. E fino a domani gli angeli custodi dell'ingresso di sociologia sono un enorme boccale di birra e una gigantesca bottiglia di grappa.

Per le strade di Trento la tensione degli ultimi giorni è svanita. Sabato è il giorno della festa di popolo prima della sfilata di oggi, alla quale sarà presente anche il presidente Sergio Mattarella. Oltre 200mila persone erano accalcate già ieri; al mattino in centinaia sono rimaste all'esterno dello stadio Briamasco dove si è svolto il lancio dei paracadutisti. Presi d'assalto la cittadella militare e quella della protezione civile e il museo nazionale degli alpini, sul Doss Trento. Paralizzate nel pomeriggio le vie del passeggio nel centro storico. A dispetto degli autonomisti che si erano lamentati perché la birra ufficiale dell'adunata viene dall'Alto Adige, l'unico ingorgo umano permanente si è coagulato davanti ai locali della Forst.

A decine sono arrivati in bicicletta o a piedi. «L'etica è sacrificio», sentenziano due penne nere giunte pedalando da Pordenone, 174 chilometri, quasi una tappa del Giro d'Italia. I gruppi più lontani si sono sobbarcati ore di volo da Australia, Cile, Argentina, come Fernando Caretti, 92 anni, partito da Buenos Aires con due figli. «Voi alpini sapete che cosa vuol dire vedere le cose dall'alto e poi scendere per venire incontro ai bisogni della gente», dice monsignor Santo Marcianò, ordinario militare, che celebra la messa nella cattedrale di Trento, gremitissima, quella in cui fu celebrato il Concilio.

«Chi era nemico è diventato amico - dice il generale Claudio Graziano, capo di stato maggiore della Difesa e lui stesso alpino -. Questa adunata nei 100 anni dalla fine della prima guerra mondiale è un percorso di ricordo, un segno di conciliazione. Oggi gli alpini della Julia in Libano guidano una missione di pace alla quale partecipano truppe da molti Paesi balcanici: pochi decenni fa sarebbe stato impossibile. Dovrebbe essere un insegnamento anche per quelle minoranze estreme che hanno protestato in questi giorni. I militari affrontano dei rischi per difendere tutti. Stiamo difendendo la pace aggiunge Graziano - rischiando nel nome del nostro Paese. Ma lo facciamo anche con orgoglio: l'esercito americano ha dovuto ripristinare una divisione di montagna con soldati polifunzionali, proprio sul modello degli alpini, perché le loro truppe sono sempre più impegnate in terreni difficili».

«Basta che ci chiamino e noi rispondiamo presente», garantisce Sebastiano Favero, presidente dell'Associazione nazionale alpini. Maurizio Pinamonti, presidente della sezione Ana di Trento, parla di solidarietà, unità, servizio, gratuità, pace. Qui la chiamano «alpinità». Il comandante delle truppe alpine, Claudio Berto, aggiunge altre parole, forse desuete: «Sacrificio, fatica, storia, impegno sociale.

E poi il salire in montagna, dove le cose si vedono sotto un'altra dimensione, anche più vicino a Dio».

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