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Il cancro che non molla

Il cancro che non molla

La procura di Milano chiede il rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi. Se uno si svegliasse dal coma dopo vent'anni leggendo questa notizia potrebbe pensare di essersi fatto solo un sonnellino. È l'unica costante di un mondo che quasi non si riconosce più. Quella dei pm ambrosiani è una missione infinita, una persecuzione che ormai sa di fanatismo, ottusa, barbara, feroce. È una guerra santa contro un solo uomo, da sfinire, calpestare, martoriare, con una tecnica da aguzzini, perché appena Berlusconi respira e prova a mettere un piede nel terreno della politica subito scatta la ritorsione giudiziaria. È scontata e con un tempismo al millesimo di secondo. Berlusconi rilancia il centrodestra? Azzannato. Berlusconi svolge un ruolo da mediatore in politica estera con Putin? Sprangato. Vent'anni fa la minaccia del terrorismo islamico era un segno lontano e sbiadito. Il presidente della Francia era Chirac. La Jugoslavia si accartocciava e frantumava in una guerra civile di nazionalità e religioni. Prodi e Veltroni fondavano l'Ulivo e Fini scioglieva a Fiuggi il Msi. Matteo Renzi era al secondo anno di università, cantava canzoni da scout e sorrideva alla Ruota della Fortuna (...)(...) con Mike Bongiorno. E soprattutto era il secolo scorso. La procura di Milano vede cambiare il tempo, le stagioni e l'orizzonte affianco a sé, ma il suo mondo si riduce a un solo uomo, un nome e un cognome, a un'ossessione: distruggere Berlusconi. Berlusconi in fondo è l'uomo che gli ha strappato il potere a sorpresa dopo Mani pulite. Il vero reato per cui non c'è perdono. Berlusconi è un cittadino perennemente sotto processo. Nessun altro politico ha subito tali attenzioni. È snervante. Pensate a come Giorgio Napolitano ha reagito a qualsiasi convocazione come testimone nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Si è offeso, innervosito, indignato per il solo fatto di essere chiamato in causa, come se fosse vittima di lesa maestà. E ora che non è neppure più al Quirinale il suo atteggiamento è diventato ancora più sprezzante verso la Corte di assise: «La mia deposizione al processo Borsellino non sarebbe rilevante e sarebbe ripetitiva». Ma Napolitano appunto non è Berlusconi. Non è il divergente che ha cambiato il corso della politica. Non è un simbolo da abbattere che sintetizza il potere politico che non si arrende alla «rivoluzione dei pm». Quello della procura di Milano è quasi un caso di psicanalisi, si aggrappano a tutto questo per esistere, per sentirsi ancora importante e centrale nella vita pubblica italiana. Ma se davvero si sentono i moralizzatori del Paese invece di sprecare soldi, tempo ed energia sul solito Berlusconi dovrebbero preoccuparsi delle duemila giovani prostitute sfruttate e schiavizzate sulle strade di Milano.Non sono questi i reati che interessano alla casta dei magistrati. È il potere che sognano non la giustizia. Adesso si sentono fragili, come se questa fosse l'ultima occasione di rimediare ai torti della democrazia. Sono preoccupati per quello che accadrà dopo l'addio del procuratore capo Bruti Liberati. Temono che Renzi, più cinico di Berlusconi, possa normalizzarli. Si teme che il premier possa mettere un suo uomo per imporre la pace e non disturbare la corsa di Giuseppe Sala a sindaco di Milano, un po' quello che è già accaduto per Expo. Forse vogliono lanciare un segnale allo stesso Renzi o chiudere la partita con la politica con la preda che hanno sempre cacciato. Sentono comunque che il tempo a disposizione sta finendo.Il Ruby-ter è l'ultimo tentativo di vendetta, la battaglia finale. I pm quindi adesso vogliono processare Berlusconi con l'accusa di avere comprato il silenzio di testimoni che al suo processo non vennero creduti: eppure Berlusconi fu ugualmente assolto, non sulla base delle testimonianze che avrebbe comprato, ma semplicemente perché innocente. Ma il reato per la Procura milanese ci fu ugualmente. L'assioma è lo stesso da vent'anni: Berlusconi non può non essere colpevole. E su questo punto di partenza intangibile la procura di Milano costruisce i suoi teoremi giudiziari, la sua verità. Se i testimoni non confermano quello che vogliono sentirsi dire, non rispettano il teorema, la testimonianza è falsa. O rispetti la parte oppure sei spergiuro.

È una giustizia medievale, una giustizia all'ultimo sangue.Salvatore Tramontano

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