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Chiesa contro Bolsonaro: deliri sull'Amazzonia. E lui manda 44mila soldati a spegnere i roghi

Presidente alle strette, ma il suo ministro: «Foresta pomone del mondo? Stupidata»

Chiesa contro Bolsonaro: deliri sull'Amazzonia. E lui manda 44mila soldati a spegnere i roghi

San Paolo Ormai è il Brasile contro tutti. Sull'ago della bilancia rimane l'Amazzonia ormai disboscata a ritmi velocissimi che sta facendo parlare di sé per il numero degli incendi, per lo più dolosi, cresciuti quest'anno in modo esponenziale, 73mila contro i 39.759 registrati in tutto il 2018. E mentre il mondo continua ad indignarsi sui social il ministro dell'ambiente verde-oro Ricardo Salles lancia un messaggio che sembra una dichiarazione di guerra. In un'intervista al sito brasiliano di notizie Terra ha dichiarato che «l'Amazzonia non è il polmone del mondo. Questa idea che debba essere considerato patrimonio dell'umanità è una stupidaggine. Siamo noi brasiliani ad avere la sovranità su di essa. Siamo noi a dover scegliere un modello di protezione della nostra foresta che sia sostenibile economicamente. Ogni attenzione nei confronti dell'Amazzonia da parte del mondo intero è ben accetta ma l'autonomia di scelta è solo del popolo brasiliano».

Più diplomatico invece venerdì sera il presidente Jair Bolsonaro che, forse spaventato dal crollo a picco della sua popolarità e dal rischio di sanzioni internazionali, in un discorso alla nazione trasmesso in televisione ha pomposamente annunciato una politica della tolleranza zero nei confronti della criminalità ambientale a autorizzato con decreto già entrato in vigore l'intervento dell'Esercito (44mila soldati) nelle aree amazzoniche colpite dagli incendi. Ma non è bastato a contenere l'ira dei brasiliani che si sono scagliati contro di lui e la lobby dei latifondisti che tanto peso ha avuto nella sua elezione. In contemporanea al discorso presidenziale sono scesi a migliaia in piazza nelle più grandi città e anche fuori dalle più importanti ambasciate come quella di Londra. Inoltre per la prima volta dopo l'era Rousseff sono ricomparsi i «panelaços» ovvero le pentole battute fuori dalle finestre in segno di protesta. Sintomo, dunque, di un Brasile che sembra cominciare a stancarsi del presidente ex militare che aveva stravinto lo scorso ottobre con oltre il 55% dei voti. Anche la Conferenza episcopale brasiliana si è fatta sentire: «Alzare la voce per l'Amazzonia è ormai indispensabile. È urgente che i governi dei Paesi amazzonici, specialmente il Brasile, adottino provvedimenti seri per salvare una regione determinante per l'equilibrio ecologico del pianeta». Per i vescovi brasiliani, infine, non è più tempo «di deliri nei giudizi e nei discorsi».

Nel discorso di venerdì Bolsonaro ha cercato di spegnere le polemiche che nelle ultime settimane ha subito un crescendo senza precedenti. Prima il licenziamento di Ricardo Galvão direttore dell'Istituto nazionale per le ricerche spaziali, colpevole semplicemente di aver denunciato a suon di dati elaborati dai satelliti la deforestazione in atto, poi gli attacchi alle ong ambientali straniere che avrebbero a suo dire provocato gli incendi a causa del taglio dei fondi statali a loro diretti e in ultimo le critiche a paesi come la Germania e la Norvegia che hanno poi deciso di congelare i finanziamenti al fondo Amazzonia.

Nel discorso alla nazione Bolsonaro ha cercato idi riacquistare credibilità di fronte al mondo che lo ha già ribattezzato ironicamente «BolsoNerone». «La protezione della foresta è un nostro dovere, siamo consapevoli di questo e ci stiamo dando da fare per combattere la deforestazione illegale e qualsiasi altra attività criminale. Tolleranza zero nei confronti della criminalità e nell'area ambientale non sarà diverso». Ma in molti si chiedono adesso se la misura di inviare l'esercito in Amazzonia sarà risolutiva. La regione è enorme e in mano alla criminalità non solo per gli incendi ma anche per quanto riguarda l'estrazione illegale dell'oro e il traffico di cocaina. Controllarla finora è stato impossibile. Intanto bruciano anche altre porzioni di foresta.

In Bolivia oltre 750mila ettari di savana tropicale, la Chiquitania boliviana al confine con il Brasile, sono stati arsi dalle fiamme, mentre in Paraguay oltre 20mila ettari del Chaco sono stati divorati dal fuoco.

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