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Desolazione Pd: "Sembriamo il Libano"

Bufera per la sponda di Franceschini al M5s. E i renziani diffidano di Martina

Desolazione Pd: "Sembriamo il Libano"

Roma - «Più che un partito sembriamo il Libano», confida sconsolato un dirigente Pd. A Roma c'è la sinistra anti-Renzi che si riunisce da una parte con Orlando, Cuperlo e alcuni profughi di Leu in cerca di zattere; e ci sono i dem post-Renzi che si riuniscono da un'altra parte con Matteo Richetti, che prepara in una simil-Leopolda la sua possibile candidatura ad un eventuale congresso. E c'è il reggente in cerca di conferma Maurizio Martina che fa la spola dagli uni agli altri, rilasciando dichiarazioni equilibriste per non scontentare nessuno. Nel frattempo, gli altri dirigenti Pd litigano su Twitter sul tema: «Dialogare o no con i Cinque Stelle?», dividendosi tra si, no, forse e vaffa. Anzi, soprattutto vaffa, rispetto all'unica sponda targata dem arrivata ieri all'apertura di di Maio, quella del ministro Dario Franceschini, che in un tweet ha detto di apprezzare la «novità politica». Una bufera.

È un sabato quanto mai confuso in casa dem: martedì si riuniranno al Nazareno i gruppi parlamentari per discutere di che linea tenere nel secondo giro di consultazioni al Colle; mentre su tutto incombe la scadenza dell'Assemblea nazionale convocata per il prossimo 21 aprile. A due settimane di distanza, le posizioni in campo non sono ancora chiare, e pesa l'incognita di ciò che deciderà di fare Matteo Renzi. Il quale, secondo i calcoli interni, ha ancora il controllo del 53% dell'Assemblea, e dunque è un fattore difficilmente aggirabile. L'ex segretario, però, non ha ancora deciso che fare, anche se ha fatto sapere che prenderà la parola in quella sede. Il grosso dei renziani non si fida di un Martina «sempre più vicino alla minoranza, che lo vuole usare per avviare la de-renzizzazione del partito», come dice un pasdaran. Quindi spinge per non votarlo come segretario, sia pure a termine. La sinistra difende il reggente: «Se Renzi ha cambiato opinione e ritiene di dover assolvere a un ruolo di direzione politica, in una sorta di cammino parallelo al segretario reggente, questo rischia di indebolire il Pd e Martina», dice Cuperlo. Mentre Orlando evoca il buon tempo andato: «Il partito nuovo di Togliatti è stato costruito anche attraverso una nuova classe dirigente». Basta Renzi, avanti coi nuovi Togliatti.

L'alternativa, caldeggiata da molti tra i renziani, è quella di usare l'Assemblea per indire un congresso, con primarie per eleggere un nuovo segretario con pieni poteri, da tenersi entro l'anno. Il guaio, dal punto di vista renziano, è che manca un candidato: Richetti non va bene ai più, Delrio ha già detto che non vuole farlo. Mentre altri già si muovono: il governatore del Lazio Zingaretti costruisce alleanze interne, non solo con tutto il mondo ex Ds che lo vede come possibile vendicatore, ma anche con big ex Margherita come Franceschini (la cui moglie sta con lui in Regione).

Il retropensiero, che in pochi confessano è un altro: se la crisi si avvitasse e si precipitasse verso elezioni chi farà le liste elettorali? Se Martina venisse eletto dall'Assemblea, avrebbe lui il potere di firma.

Se invece la situazione venisse congelata in vista del congresso, a restare in carica sarebbe il presidente Matteo Orfini, alleato stretto di Renzi.

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