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Doccia gelata per il governo. Il piano Renzi le ha affondate

Il premier non ha seguito la ricetta Padoan: arginare le sofferenze con un decreto. E ora il comparto traballa

Doccia gelata per il governo. Il piano Renzi le ha affondate

Matteo Renzi ci sperava. Il progetto era semplice: concentrarsi sulla «soluzione di mercato» per Monte dei Paschi e confidare nello stellone. Purtroppo, la Borsa ieri ha dato un verdetto negativo sull'intero comparto bancario e tutti gli sforzi di mesi e settimane paiono d'improvviso vanificati.

Forse se avesse seguito il consiglio del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e avesse emanato un decreto ad hoc per disinnescare la bomba delle sofferenze, la situazione ora sarebbe diversa. Ma quella proposta Renzi non ha mai voluto ascoltarla. Lo ha detto anche a Repubblica domenica scorsa: «Non voglio che paghino i cittadini». Con il referendum costituzionale alle porte (ancorché posticipato), un solo bail in avrebbe voluto dire firmare contestualmente la lettera di dimissioni da consegnare al presidente della Repubblica.

E qui si palesano mesi e mesi di errori di tattica e di strategia. Mesi nei quali il presidente del Consiglio ha sostanzialmente perso tempo. La recente guerra con Padoan è solo l'ultimo episodio di un racconto fatto di incomprensioni e incompatibilità, di ambizioni e di ambiguità. Il primo errore, infatti, fu la sottovalutazione complessiva del recepimento della direttiva sul bail in nel caso delle quattro banche «risolte» (Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti). Una sottovalutazione concretizzatasi con l'ok a una procedura di cessione delle sofferenze alla bad bank a un prezzo irrisorio: il 18% del nominale. Da quel momento in poi, infatti, è stato chiaro a tutti gli operatori del mercato che agli istituti del nostro Paese mancavano come minimo una cinquantina di miliardi di euro di patrimonio per fronteggiare una simile eventualità, ancorché remota.

Poi, un altro doppio errore: oltre sei mesi sprecati a trattare con Bruxelles senza ottenere nulla. Doppio perché da un lato la trattativa è stata affidata direttamente al leguleio Padoan che non ha il physique du rôle (né la volontà politica) per fare il «trattore». E, dall'altro lato, tutto il credito che si è ottenuto con la Commissione Ue è stato speso per la flessibilità, cioè per le mance elettorali della legge di Stabilità. E anche la prossima sarà dello stesso tenore: soldi per le pensioni, un taglietto dell'Ires e spesa pubblica sostanzialmente invariata.

Renzi è così arrivato al momento clou della telenovela Mps con in mano solo la Gacs (garanzia pubblica sulle cartolarizzazioni delle sofferenze) che non serve a nulla perché operativa solo su quelle di migliore qualità e con maggiori garanzie reali. Di qui la supplica alle casse previdenziali per rimpinguare il Fondo Atlante che già si era esaurito con gli interventi su PopVicenza e Veneto Banca (gli ingegneri di Inarcassa però hanno fatto marameo). Il premier si ritrova così con i sondaggi in calo, una Stabilità tutta da inventare e un ministro dell'Economia che comincia a fargli la guerra perché, ovviamente, vuole restare «spendibile» come riserva della Repubblica in caso di emergenza. Emergenza che ieri si è mostrata in tutta la sua drammaticità: Intesa Sanpaolo ha perso il 3,5% nonostante sia stata la migliore d'Europa agli stress test.

Renzi dovrebbe cercare di spingere sull'acceleratore della crescita per risolvere con pochi traumi la situazione, ossia adottare misure economiche anticicliche delle quali anche il settore bancario possa beneficiare. Tagli delle tasse che aiutino la ripresa degli investimenti e creazione di posti di lavoro. Che è un po' quello che il premier ha cercato di fare in modo raffazzonato. Il paradosso è che quando servirebbero di più gli sgravi sui contributi per i neoassunti, il governo sta pensando di dimezzarli nella prossima manovra. Visto che il rapporto con Padoan è ai minimi storici e che l'unica intesa è finora sul disinnesco delle clausole di salvaguardia su Iva e accise, par di capire che il puzzle sarà difficile da ricomporre. Renzi dovrà solo guadagnare tempo, con i mercati, con la Commissione Ue, con l'opinione pubblica.

E forse è la cosa che gli riesce meglio.

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