Cultura e Spettacoli

Quelle notti magiche dell'Italia che sognava un nuovo "miracolo"

Il rock di Edoardo Bennato e Gianna Nannini non fu solo la colonna sonora dei Mondiali '90. Fu l'inno di un Paese che viveva l'ultimo boom

Quelle notti magiche dell'Italia che sognava un nuovo "miracolo"

Quegli occhi, in fondo bastano quegli occhi fiammeggianti di Totò Schillaci dopo il gol all'Austria a spiegare perché Un'estate italiana è stato il tormentone più tormentone del 1990, il brano più venduto dell'anno, uno di quelli che, brrr!, bastano due versi per riportarti dritto ad allora. «Notti magiche, inseguendo un goal» è un ritornello così semplice che anche Gianna Nannini ed Edoardo Bennato beh, insomma, hanno accettato di cantarlo perché i Mondiali di calcio erano in Italia, perché il pallone è pur sempre il pallone e un po' di sano patriottismo non si nega a nessuno. Dopotutto il brano era firmato da Giorgio Moroder, mica il primo che passa, e cantare la canzone di un tre volte premio Oscar che aveva curato la colonna sonora di Fuga di mezzanotte o Scarface o Flashdance è comunque un toccasana per qualunque carriera. Però bisogna capirli, gli artisti, specialmente gli italiani, specialmente i cantautori che allora erano terrorizzati dal «motivetto pop», dalla canzone di facile presa che si canticchia sotto la doccia e che quindi, per legge non scritta, è considerata un prodotto per sottosviluppati. Non a caso per i critici musicali vecchio stile, un brano per essere degno di nota doveva quantomeno volare alto, sicuramente mostrarsi profondo e musicalmente mai innovativo ma, soprattutto, politico quanto basta. Bennato (che si distacca anche oggi dalla uniformità imperante con Ho fatto un selfie) ci aveva scherzato su il suo Sono solo canzonette chiedendo «non metteteci alle strette» perché qui si parla di musica leggera popolare, non di trombonesche sbrodolate sociopolitiche di quelle che poi segue dibattito.

Un'estate italiana viene cantata per la prima volta dall'inedita coppia Nannini-Bennato durante il sorteggio dei gironi della fase finale dei Mondiali di calcio. Un playback al Palazzo dello Sport di Roma, niente di che. Era il dicembre 1989, in mezzo alle inevitabili polemiche sulla lentezza dei lavori, sull'impreparazione degli stadi, sul magna magna, sui soliti bla bla che in Italia sono il corredo indispensabile di qualsiasi evento dalle nostre parti. E, naturalmente, il brano è «partito» lentissimo, diciamo sottotraccia, come accade a tutti gli inni delle grandi manifestazioni sportive. Anche dieci anni dopo l'esordio il Waka Waka di Shakira, tanto per fare un esempio, ha debuttato maluccio ma poi, a furia di sentirlo a ogni partita dei mondiali in Sudafrica, si è diffuso a macchia d'olio ed è stato il brano più venduto del 2010 anche in Italia. «Forse non sarà una canzone a cambiare le regole del gioco, ma voglio viverla così quest'avventura senza frontiere e con il cuore in gola». Raiuno, ore 20.30, prima partita dell'Italia con l'Austria. Inizio incerto, Carnevale in campo, Schillaci in panca, Italia inconcludente e quindi vai con i soliti ecco che schifo di squadra, l'avevo detto che il ct Vicini non ci capisce niente, manco l'Austria riusciamo a battere. Entra Totò e dopo 4 minuti pianta una zuccata su cross di Vialli che quasi sfonda la rete dopo aver piegato la mano del portiere austriaco. Dopo l'urlo di Munch Tardelli al Bernabeu nell'82, le braccine agitate al cielo di uno Schillaci che zigzaga impazzito in area di rigore, restano uno dei grandi simboli del nostro entusiasmo calcistico, di quella insaziabile voglia di trovare icone nazionalpopolari che ci mettano finalmente tutti d'accordo almeno per un po'. Schillaci, quello che «ruba le gomme» come lo dileggiavano i tifosi antijuventini, era l'eroe neorealista di un mondiale nato per essere vinto. Siciliano, dizionario limitato, furiosa voglia di pallone, fame di gloria, occhi spiritati.

«Notti magiche, inseguendo un goal sotto il cielo di un'estate italiana». Nell'anno delle ultime volte (l'ultimo film di Fellini, la fine del Pci in Italia alla Bolognina, l'ultima notte in carcere di Nelson Mandela, la fine dell'era Thatcher e anche di quella dei 45 giri, l'ultimo tornello del sanguinoso Checkpoint Charlie a Berlino) ci sono i debutti. Sono i primi mondiali «in alta definizione tv» e nasce una stella che solo chi c'era si ricorda alla perfezione l'effetto che faceva. Signore e signori, ecco Alba Parietti, torinese, ex fugace valletta di Gigi Sabani a Ok il prezzo è giusto!. Le sue gambe allungate su di uno sgabello a Galagoal di Telemontecarlo divennero un cult che, al confronto, oggi un selfie di Diletta Leotta evapora in tempo reale visto l'esubero di nudità in circolazione. Allora no, figurarsi. Quando l'Italia perde dolorosamente la semifinale con l'Argentina di Maradona dopo una papera di Walter Zenga su Caniggia, tutti erano distrutti eppure appiccicati allo schermo per godersi quella ventinovenne pressoché sconosciuta fino al mese prima.

Le gambe più belle d'Italia divennero poi la «coscialunga della sinistra» ma questo con le notti magiche non c'entra nulla. Mentre l'Italia consumava il funerale di un sogno (terzo posto, altro che vittoria), Un'estate italiana passa direttamente dagli stadi alle spiagge ed entra nel linguaggio comune, come succede regolarmente a ogni grande tormentone. Rimane al primo posto in classifica fino a esaurimento scorte, risulta il brano più venduto dell'anno, rimane uno dei pochi successi di una «operazione Mondiale» che tutti speravano finisse con una coppa alzata in mezzo a uno stadio scatenato e invece ciao. Ed è rimasta anche un caso isolato nelle carriere di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, la strana coppia di quel tormentone che poi si è separata inseguendo «goal» diversi. Lei ha portato il suo rock in giro per l'Europa, Germania specialmente. Lui ha continuato a essere il bastian contrario che anche oggi tutti gli riconoscono di essere. Forse il più coerente. Bennato è il primo artista italiano ad aver riempito lo stadio di San Siro appena un mese dopo Bob Marley, uno dei pochi a non aver mai fatto compromessi se non quelli dell'idealista convinto di vincere soltanto con la buona musica e le parole giuste. Per loro due, così simili così distanti, le notti magiche sono state un sogno di mezza estate che non hanno portato avanti, una sorta di gloriosa parentesi in mezzo ad altre glorie diverse.

Però oggi, per chiunque ci fosse nel 1990 mentre il minuscolo Schillaci faceva gol scorrazzando tra stopper giganteschi, l'Estate Italiana è quella roba lì che solo il pop e lo sport sanno dare, sublimando furori popolari in un sentimento collettivo di gioia o delusione ma comunque vicinanza che altrimenti ce la scordiamo.

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