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L'orizzonte è il 2022 L'inciucio già guarda al dopo Mattarella

La Lega teme il pantano, l'ipotesi: ministri ritirati. Ma Conte insiste: sfiducia in Aula

L'orizzonte è il 2022 L'inciucio già guarda al dopo Mattarella

L'orizzonte delle grandi manovre in corso ormai da tre giorni non è solo o semplicemente quello di spostare in avanti la fatidica data delle elezioni anticipate. Il non detto pubblicamente s'intende, perché la questione è ben chiara a tutti i protagonisti della partita è provare a mettere in piedi un esecutivo che parta sì con una prospettiva di pochi mesi ma che punti a rimanere in sella fino al 2022. Insomma, a parole l'obiettivo è quello di mettere in sicurezza i conti e votare la legge di Bilancio evitando così il salto nel buio dell'esercizio provvisorio. Oppure approvare a settembre il taglio dei parlamentari e poi, come parrebbe necessario, rimettere velocemente mano alla legge elettorale per superare i rischi d'incostituzionalità legati ai nuovi e troppo ampi collegi del Senato. Nei fatti, però, l'approdo è quello del febbraio 2022, quando scadrà il settennato di Sergio Mattarella. A quel punto Camera e Senato saranno chiamate a votare il suo successore. E a farlo se si riuscisse a scavallare l'attuale impasse potrebbe anche essere questo Parlamento che ha la sua scadenza naturale nella primavera del 2023.

Ecco il perché oltre evidentemente al piccolo cabotaggio di chi non vuol perdere una poltrona alla Camera o al Senato che difficilmente riavrebbe c'è tanto fermento intorno a scenari di governi tecnici, elettorali, di scopo, di salvezza nazionale o comunque li si voglia chiamare. Ecco perché sia Beppe Grillo che Matteo Renzi sono pronti a caricarsi sulle spalle una legge di Bilancio che, vista la situazione dei nostri conti e i vincoli che ci impone Bruxelles, è destinata ad essere un bagno di sangue. Sotto il profilo dei tagli e dal punto di vista del consenso. Una delle ragioni di un'operazione tanto azzardata è proprio la prospettiva del 2022: che sia questo Parlamento e la nuova maggioranza post-crisi ad eleggere il successore di Mattarella. Ed evitare, invece, che sia Matteo Salvini e un nuovo Parlamento in cui i numeri della Lega sarebbero certamente corposi a decidere chi debba sedere al Quirinale. «Altrimenti avremo per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana un capo dello Stato eletto dalla destra», è stato il ragionamento fatto in privato da Renzi.

Salvini è ben conscio del problema. E si sta accorgendo che la partita è molto più complessa di quanto aveva immaginato. Non è un caso che ieri abbia fatto sapere che la prossima settimana incontrerà Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Insomma, se fino a 48 ore fa teorizzava che delle alleanze si sarebbe parlato solo con una data delle elezioni certa, ora deve aver capito che i voti di Forza Italia al Senato possono essere determinanti per spingere la crisi in un senso o nell'altro. Che Renzi sia in pressing su molti senatori azzurri (solo ieri ne sono stati contattati ben 27) non è infatti un segreto.

Anche per questo il leader della Lega è tentato dall'idea di far dimettere tutti i ministri della Lega già oggi. Un modo per mettere Giuseppe Conte nelle condizioni di dover salire al Quirinale prima del passaggio in Parlamento. Con le dimissioni in blocco di sei ministri, tre viceministri e quindici sottosegretari, infatti, la prassi vorrebbe che il premier si presentasse dal capo dello Stato dimissionario. Cosa, però, che Conte pare non abbia alcuna intenzione di fare.

In ogni caso, dicono dal suo entourage, il presidente del Consiglio è deciso a farsi sfiduciare in Parlamento.

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