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Di Maio fa pace con Tria. E punta il dito sull'Inps

I due ministri ancora a caccia della "mano" che ha ipotizzato 8mila posti a rischio nel dl Dignità

Di Maio fa pace con Tria. E punta il dito sull'Inps

Caccia alla «manina» che ha previsto 8mila posti di lavoro in meno a causa del decreto dignità, in vigore da sabato, che prevede la stretta ai contratti a tempo determinato.

Dopo lo scambio di accuse tra ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio e titolare dell'Economia Giovanni Tria, tra i due scoppia la pace e nel mirino finisce il presidente dell'Inps Tito Boeri, che replica: «Un attacco senza precedenti».

Il vicepremier del M5s, in una nota congiunta con il superministro di via XX Settembre, precisa che «non ha mai accusato né il ministero dell'Economia né la Ragioneria Generale dello Stato di alcun intervento nella predisposizione della relazione tecnica al dl dignità. Certamente, però, bisogna capire da dove provenga quella manina che, si ribadisce, non va ricercata nell'ambito del Mef».

Da parte sua, Tria spiega di ritenere «che le stime di fonte Inps sugli effetti delle disposizioni relative ai contratti di lavoro contenute nel decreto siano prive di basi scientifiche e in quanto tali discutibili».

L'attacco del governo è pesante e Boeri reagisce indignato alla nota. «Tria e Di Maio - scrive- rivolgono un attacco senza precedenti alla credibilità di due istituzioni nevralgiche per la tenuta dei conti pubblici nel nostro paese e in grado di offrire supporto informativo alle scelte del Parlamento e all'opinione pubblica. Nel mirino l'Inps, reo di avere trasmesso una relazione priva di basi scientifiche e, di fatto, anche la stessa Ragioneria Generale dello Stato che ha bollinato una relazione tecnica che riprende in toto le stime dell'Inps».

La nota del presidente dell'Inps entra nel merito, accusando l'esecutivo di essere «ai limiti del negazionismo economico». Poi ribadisce le previsioni dell'istituto pensionistico, legate al fatto che il provvedimento comporta un innalzamento del costo del lavoro per i contratti a tempo determinato e un aumento dei costi in caso di interruzione del rapporto di lavoro per i contratti a tempo indeterminato. Per Boeri, «l'evidenza empirica e la teoria economica pevedono unanimemente un impatto negativo sulla domanda di lavoro», perchè in un'economia con alta disoccupazione elevata, questo significa riduzione dei posti di lavoro. «È difficile stabilire - continua - l'entità di questo impatto, ma il suo segno negativo è fuori discussione. La stima dell'Inps è relativamente ottimistica. Prevede che il 10% dei contratti a tempo determinato che arrivano a 24 mesi di durata non vengano trasformati in altri contratti. In termini assoluti l'effetto è trascurabile: si tratta dello 0,05% dell'occupazione alle dipendenze in Italia. Il numero totale non eccede mai le 8 mila unità in ogni anno di orizzonte delle stime».

D'altronde, conclude il presidente dell'Inps, «se l'obiettivo del provvedimento era quello di garantire maggiore stabilità al lavoro e più alta produttività in futuro al prezzo di un piccolo effetto iniziale di riduzione dell'occupazione, queste stime non devono certo spaventare».

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