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Di Maio in un vicolo cieco. E si aggrappa al Pd

Di Maio in un vicolo cieco. E si aggrappa al Pd

Trentatré giorni dopo il voto che ha terremotato gli equilibri politici come li conoscevamo prima del 4 marzo, la strada che porta ad un governo sembra sempre più impervia. Ne sono coscienti al Quirinale, dove ieri non si nascondeva il timore che lo stallo potesse durare «ancora due mesi». E lo iniziano a temere anche alla Casaleggio Associati, tanto che Davide - il figlio di Gianroberto, cofondatore del M5s - ha sentito l'esigenza di dare un'intervista al Sole 24 Ore per lanciare un segnale distensivo all'establishment e ai mercati. Un colloquio nel quale ha confermato la possibilità di dialogare con Pd e Lega oltre a ribadire la premiership di Luigi Di Maio. «Non vedo ragioni per ribaltare il risultato delle urne», ha detto senza esitazioni. Eppure nelle ultime ore lo scenario sembra mutare, tanto che dopo Casaleggio oggi sarà lo stesso Di Maio a «concedersi» con un'intervista a un importante quotidiano nazionale per rilanciare un tavolo con il Pd. L'enfant prodige grillino, infatti, sta iniziando a temere che alla fine potrebbe essere proprio lui l'unico, vero scoglio alla nascita di un esecutivo che faccia uscire il Paese dall'impasse. D'altra parte, se la situazione non si dovesse sbloccare Mattarella ha lasciato intendere che tenterà più di un giro e che le elezioni anticipate - comunque non prima dell'autunno - sono un'estrema ratio. Falliti i primi tentativi di formare un governo e magari con i mercati in agitazione, di certo con l'opinione pubblica sfiancata da mesi di trattative, il Quirinale farà di tutto per mettere i protagonisti delle consultazioni davanti alle loro responsabilità. Non chiedendo, ma pretendendo che veti e controveti vengano messi da parte. In uno scenario simile è chiaro che per Di Maio non ci sarebbe più spazio, con buona pace dei suoi undici milioni di voti che rivendica con orgoglio ogni giorno.

Il problema, però, è che già adesso il leader grillino sembra essere diretto verso un vicolo cieco, risultato proprio dei suoi ripetuti veti. Ancora ieri, infatti, alla decisione del centrodestra di presentarsi con un'unica delegazione alle consultazioni della prossima settimana Di Maio ha replicato invitando Salvini a «scegliere tra il cambiamento e Berlusconi». Un braccio di ferro che avrà anche molto di tattico ma che di fatto - se mai si dovesse arrivare ad un esecutivo tra centrodestra e M5s o anche solo tra M5s e Lega - rischia di trasformare Di Maio nell'agnello da sacrificare all'altare del compromesso e della governabilità. Solo con un altro premier, infatti, tutto il centrodestra o anche il solo Salvini potrebbero «giustificare» l'accordo dopo uno scontro tanto feroce. A questo punto, insomma, l'unica concreta possibilità che resta a Di Maio per andare a Palazzo Chigi è quella di un'intesa M5s-Pd. Per questo il leader grillino ha deciso oggi di mettere nero su bianco con un'intervista la sua apertura al Pd.

Che difficilmente farà breccia, visto che Matteo Renzi continua a teorizzare la strategia dell'arrocco.

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