Politica

Mattarella lo giura: «Io farò l'arbitro i giocatori mi aiutino»

Via al settennato tra toni pacati e molti silenzi. Respinte le dimissioni «di cortesia» del governo, domani prima uscita ufficiale. Il nodo staff

Roma Voce bassa, toni felpati, parole semplici. Poi il marziano perde un foglio, si ferma, c'è il gelo in aula, un po' di imbarazzo e solo con l'aiuto della Boldrini riesce a riprendere il filo. Sembra emozionato, fuori posto, ed è strano per uno che mastica politica da generazioni. Un applauso, uno dei quarantadue in tutto, un sorrisetto stentato e Sergio Mattarella può riprendere a parlare di riforme e di marò, di disagio sociale e di Italia da ricucire. «Sarò un arbitro, ma i giocatori mi devono aiutare».

Mezz'oretta di discorso, poi via all'Altare della Patria e poi ancora verso il Quirinale scortato dai corazzieri a cavallo e da Matteo Renzi, seduto accanto nella Flaminia scoperta. Un certo impaccio anche mentre passa in rassegna il picchetto d'onore, lui che è stato ministro della Difesa. E un senso di fretta traspare pure durante la cerimonia del passaggio di consegne del salone dei corazzieri. E dopo, quando i notabili si spostano nella sala delle feste, il capo dello Stato è quello che da meno nell'occhio. Mattarella riceve in silenzio la processione dei saluti, stringe le mani di tutti ma salta agli occhi la differenza tra i politici in fila e il Paese vero di cui ha parlato a Montecitorio: i vecchi, i disoccupati, i giovani senza speranze, le famiglie in difficoltà, i sofferenti, gli imprenditori piegati dalla crisi. Dopo la saldatura patriottica di Ciampi e la tenuta dello Stato di Napolitano, ecco una rivisitazione della «terza fase» di Moro, la ricostruzione sociale, di popolo.

Un marziano al Quirinale? Invece no, perché Sergiuzzu reincarna in pieno la fisiognomica democristiana, la storia di un partito-Stato poco a suo agio nei salotti ma non sprovveduto nella gestione del potere e delle istituzioni. È da quella tradizione che ha imparato ad aprire senza sbilanciarsi, come dimostra il suo atteggiamento con gli extraterrestri veri, i Cinque Stelle, che Napolitano considerava quasi pericolosi e che lui vuole recuperare: a Montecitorio ha invitato i «giovani parlamentari» a farsi avanti, a entrare in gioco, ma ora, ai due ambasciatori di M5S che gli portano le scuse di Beppe Grillo assente, concede soltanto un gelido sorriso. Poi se ne va per primo dal ricevimento, tanto c'è Renzi a reggere la scena. Il premier, vestito di blu scuro, è frizzante. Intrattiene cardinali e generali, chiacchiera con Franceschini, propone di rispostare la capitale a Firenze. «Altro che Quirinale o Palazzo Chigi, per me Palazzo Vecchio è il top. Anche la Merkel lo pensa».

Mattarella intanto, con il suo stile pacato, ha già preso possesso. Prima della cerimonia ha respinto le dimissioni «di cortesia» del governo, ha parlato con Papa Francesco, poi si è chiuso a lungo con Napolitano nello studio presidenziale. Re Giorgio gli ha consegnato l'onorificienza del collare di cavaliere Gran Croce decorato di gran cordone e gli ha passato i dossier aperti: dalle domande di grazia, alla ricorrenza della Grande Guerra, dagli ambasciatori da accreditare alle riunioni del Csm in programma. Domani la prima uscita, l'inaugurazione dell'anno giudiziario del Consiglio di Stato. C'è il problema dello staff: decisione rimandata, nel frattempo Marra e gli altri consiglieri uscenti resteranno per un po'.

Dopo il pranzo con la famiglia, piccola riunione per definire le prossime mosse. Il discorso è piaciuto a tutti e ora c'è molta attesa per le prossime mosse. Quindi, da vero dc, non ne farà. «Non aspettatevi prese di posizione forti, almeno a breve», raccontano i suoi. Meno interventi, più moral suasion e «consigli da professore».

Più arbitro e meno giocatore.

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