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Il Pd di Martina resta alla finestra. Fa paura il referendum di Renzi

La prima direzione col "reggente" conferma: opposizione La minaccia di consultare gli iscritti frena chi vuole trattare

Il nuovo ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina
Il nuovo ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina

Roma - Ufficialmente, la linea resta quella dettata da Matteo Renzi e approvata dalla Direzione: opposizione. Lo ha sancito la segreteria del Pd, riunita ieri per la prima volta sotto la guida del reggente Maurizio Martina. Poi si vedrà: la strada è ancora lunga e tortuosa, e il correntone dei big Pd possibilisti sull'appoggio ad un governo ha capito che forse è stato un po' prematuro mettersi sul mercato prima che esista anche solo un abbozzo di incarico di governo. Tanto più che la base resta contrarissima ad inciuci con grillini o leghisti, e c'è il timore che siano i renziani a chiedere il famoso referendum tra gli iscritti, che metterebbe una bella zeppa negli ingranaggi di un eventuale trattativa. Nel frattempo, si tratta all'interno sui capigruppo (che verranno eletti martedì) e all'esterno sulle presidenze delle Camere. Ieri la delegazione dem formata da Martina e Lorenzo Guerini ha incontrato quella grilllina, ognuno è rimasto sulle proprie e non sono stati fatti né nomi né profferte. La sensazione dei dem è che possa davvero essere in ballo il nome di Roberto Fico per Montecitorio, per tenere buono Grillo e per evitare rotture con l'ala non neo-democristiana del partito. Ma non si esclude neppure che alla fine sia lo stesso Di Maio a scendere in pista. Quanto al Pd, «se ci verrà presentata una soluzione già blindata dall'accordo Lega-Cinque Stelle non la voteremo», spiega un dirigente. Anche perché i loro voti non sarebbero determinanti.

La partita interna non è semplice: i capigruppo hanno un ruolo chiave, anche perché saranno loro a rappresentare la linea dem sul Colle, durante le consultazioni. Ecco perché Renzi vorrebbe puntare su Lorenzo Guerini alla Camera e su Andrea Marcucci al Senato. Solo che, mentre su Guerini c'è ampia condivisione nel gruppo di Montecitorio, a Palazzo Madama i giochi sono tutt'altro che fatti: «Si rischia di andare alla conta sul nome di Marcucci, perché c'è una forte resistenza a dare due postazioni ai nomi voluti da Renzi». Per evitare la conta, si potrebbe finire su un nome giudicato più di «mediazione», come quello del franceschiniano Mirabelli, mentre Marcucci potrebbe diventare il candidato alla vicepresidenza del Senato. Alla Camera, per il ruolo di vicepresidente, sono in pista nomi di peso come quello del capogruppo uscente Ettore Rosato e quello dell'ex leader Ds Piero Fassino. Poche chance, invece, per la renziana fiorentina Rosa Maria De Giorgi, che pure dicono - ci terrebbe molto.

Ma c'è un'altra partita in corso nel Pd, anche se per ora resta molto sullo sfondo: quella la scelta del segretario, che dovrebbe essere eletto dall'Assemblea nazionale che si terrà (forse) a fine aprile e restare in carica fino al 2021. Finora si è parlato di Martina, già vice di Renzi, come praticamente del candidato unico. Ma nei giorni scorsi Martina si è troppo esposto sulla linea pro-trattativa sul governo perché i renziani lo vedano ancora come un «punto di equilibrio» affidabile. Così, nell'area che fa capo all'ex premier, si sta iniziando a ragionare su un nome alternativo, e l'idea più gettonata è quella di candidare Matteo Richetti: giovane, renziano ma anche critico, vicino al ministro Delrio, con grande appeal televisivo.

Manca solo il via libera di Renzi.

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