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Quei maestrini dell'odio di classe che hanno fatto scuola ai terroristi

Il gruppo di Sofri propagandava la rivoluzione con campagne mediatiche violente. Da Calabresi allo sberleffo sui parà morti

Quei maestrini dell'odio di classe che hanno fatto scuola ai terroristi

Una sola, doverosa ammissione: quelli di Lotta Continua erano più simpatici. Mentre nelle bande di picchiatori dell'ultrasinistra degli anni '70 si respirava un cupo clima militare, e a Milano si favoleggiava persino che uno dei «servizi d'ordine» facesse pratica spaccando i crani ai morti all'obitorio, nel gruppo che ruotava intorno a Adriano Sofri una certa ironia di fondo, un'amore per la trasgressione preservava da eccessi di seriosità, e tenne poi aperte le porte agli esiti individuali più disparati: chi finì nel Psi, chi nei monasteri indiani, chi nella lotta armata. D'altronde erano dei bei cervelli: tanto per fare un paragone, gli unici del Movimento Lavoratori per il Socialismo - arcinemici di Lc, e protagonisti di selvaggi pestaggi ai suoi danni - a fare poi carriera sono stati i fratelli Boeri, mentre Lotta Continua ha espresso una bella fetta della nomenklatura della Seconda Repubblica, da Gad Lerner a Gianfranco Miccichè.

Fine dei complimenti. Perché il manifesto che svetta in un ufficio della questura di Pisa non racconta la storia di un gruppo di raffinati intellettuali, ma di quelli che un bel libro di Aldo Cazzullo definisce «i ragazzi che volevano fare la rivoluzione». Gente effettivamente convinta che l'Italia degli anni Settanta potesse e dovesse trasformarsi in un paese comunista, e che per raggiungere l'obiettivo ogni violenza fosse lecita. L'odio di classe come carburante dello scontro finale.

Della carica di odio che accompagnò la campagna più celebre di Lotta Continua, quella contro il commissario Luigi Calabresi - campagna prima mediatica e poi militare, culminata con l'assassinio da parte di un commando di Lc - si sa tutto. Ma forse ancora più abominevole e più significativo fu il titolo con cui il 10 novembre 1971 Lotta Continua annunciò in prima pagina l'incidente aereo in cui, a bordo di un Hercules inglese, avevano perso la vita 46 paracadutisti della Folgore. Erano ragazzi sui vent'anni, il più alto in grado un sottotenente. «Quarantasei fascisti in meno»: sembra di sentirli ridere, Sofri e il suo staff, mentre in redazione confezionano il giornale.

L'intelligenza non impediva il fanatismo, e anzi ne aggravava le conseguenze. Non è un caso che nessun gruppo extraparlamentare abbia fornito tanti militanti al terrorismo quanti, a partire dalla metà degli anni Settanta, ne espresse Lotta Continua. In pratica, metà del gruppo dirigente di Prima Linea - da Roberto Sandalo a Sergio Segio a Marco Donat Cattin - veniva dalla fucina di Lc. E questa provenienza fu una delle cause della diffidenza da parte delle Brigate Rosse, che dall'alto della loro ortodossia leninista non potevano apprezza il pastiche ideologico in cui Lotta Continua si era formata. Della piega che prendevano le cose, dello smottamento progressivo dalla violenza di piazza alla lotta armata, Sofri si rese perfettamente conto, e fece forse l'unica scelta possibile: a Rimini, nel novembre 1976, accompagnò Lotta Continua verso lo scioglimento. Fu un «rompete le righe», il via alla diaspora: da quel giorno i «ragazzi che volevano fare la rivoluzione» presero la loro strada nella vecchia politica, nel giornalismo, negli affari. Sofri, e di questo bisogna dargli atto, spinse in questa direzione per evitare guai peggiori.

Ma ormai il danno era fatto.

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