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Quelle superdonne simbolo di normalità. "Vogliamo solo tirare"

Una giornata a Rio con Guendalina Sartori, capitana della nazionale finita nella bufera

Quelle superdonne simbolo di normalità. "Vogliamo solo tirare"

Il bersaglio è a settanta metri, colorato, come una bandiera, il giallo al centro, poi il rosso, poi blu, nero e bianco. Da qui non lo puoi vedere, ma ogni colore è diviso da un filo sottile nero. Nel giallo il centro del centro è dieci, sotto è nove. Questo vale anche per gli altri. Il rosso è otto e sette, il blu sei e cinque e così via.

Gwenda si sta allenando. È mattina. L'arco olimpico, questa è la sua disciplina, ha un corpo centrale, il riser, e due flettenti fissati da viti e uniti tra loro da una corda. Il rest è il supporto che sostiene la freccia prima di essere scoccata. È nel clicker però che arciere e arco si riconoscono. È questa lamina di metallo che, scattando, segnala all'arciere se l'arco è stato aperto nella misura da lui scelta, ottenendo per ogni tiro la medesima potenza e il medesimo allungo.

Quel momento devi sentirlo, con tutta te stessa, non è questione solo di occhio o di mira, ma qualcosa di più profondo, che viene da quella che per metafisica viene definita anima. È come lo swing nel golf o la forza per lo jedi, Star Wars naturalmente. Gwenda deve averlo sentito adesso, lo swing.

Qualcuno prima si è messo a citare Paulo Coelho, non solo perché qui siamo Rio, a casa sua: «Quando l'arciere tende la corda, nel suo arco può vedere il mondo intero. Quando accompagna con lo sguardo il volo della freccia, esso gli si avvicina, lo accarezza e gli consente di provare la sensazione meravigliosa di un compito portato a termine».

L'arciere è il suo senso del dovere. La freccia arriva a destinazione. È nel blu. È un sei. Gwenda si toglie la benda e si stropiccia gli occhi. Si allena alla cieca.

Mario Scarzella, presidente della federazione, ti guarda e ti fa un segno come a dire: «Hai visto?». Le ragazze hanno perso una medaglia per un tiro che è una rarità, una freccia sul nero. Il 99 cento dei tiri senza benda va nel giallo o di sfiga nel rosso. Paura? «È l'Olimpiade, e qui nel bene o nel male accade di tutto, soprattutto l'improbabile». Qui, più che mai, l'arciere affronta sé stesso fin nelle ultime profondità. «Non si gareggia con gli altri, si gareggia sempre contro se stessi».

Il tiro con l'arco, si sa, è zen. Se arrivi qui è perché nuoti tutti i santi giorni, per rinforzare le gambe, che ti piantano a terra, e i muscoli dorsali, quelli che flettono l'arco. È fatica. È tenuta. Gli atleti sono un po' come i supereroi, ognuno ha il suo potere magico. Quello dell'arco è la concentrazione assoluta, che non significa isolarsi, ma isolare ogni sensazione, ogni voce, ogni emozione e prendere quella che ti serve per sentire il centro, l'ombelico dell'universo. L'arco ti insegna a non guardare il dito, ma la luna. È essenziale. Non tiene conto della forma. Gli arcieri sono i supereroi della porta accanto.

Gwenda è Guendalina Sartori ed è il capitano della squadra femminile di tiro con l'arco. Le altre due sono Claudia Mandia e Lucilla Boari. Le polemiche sul «trio delle cicciottelle» le ha spente con un video. Il senso è che gli stolti guardano il dito. Poi è tornata ai suoi superpoteri. Un giorno magari racconterà la vera storia delle «ragazze di fuoco» e dei canti della rivolta. Questi non sono gli Hunger Games, che comunque assomigliano a altre specialità come l'arco nudo o come l'arco lungo (quello che deriva direttamente da Robin Hood) ma nella vita ti capita comunque di finirci dentro.

Monselice è un borgo di origine longobarda sotto i colli Euganei, in provincia di Padova. A settembre, come ogni anno, ci sarà il palio. Nove contrade si sfidano in gare di origine medievale. Una di queste è l'arco.

Gwenda arriva da lì, appartiene a un luogo senza tempo, dove si vola con un pizzico di magia.

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