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Russiagate, un "patto" Trump-Assange

I media Usa: proposta l'immunità al fondatore di WikiLeaks se scagiona Mosca

Russiagate, un "patto" Trump-Assange

L'immunità in cambio delle prove dell'estraneità di Mosca alla campagna contro Hillary Clinton. L'ultimo capitolo della storia infinita del Russiagate riguarda una proposta di «scambio indecente» tra due personaggi perfettamente incompatibili: Donald Trump e Julian Assange.

La storia, raccontata dal Wall Street Journal, ha come terzo protagonista un deputato repubblicano notoriamente vicino alla Russia, il californiano Dana Rohrabacher. Questi si sarebbe recato in agosto a trovare Assange nell'ambasciata ecuadoriana a Londra, dove dal 2012 ha trovato rifugio per sfuggire a un mandato di cattura internazionale emesso in Svezia per violenza sessuale. E qui avrebbe prospettato ad Assange un accordo che in teoria al presidente degli Stati Uniti potrebbe fare molto comodo: l'immunità negli States in cambio di una prova concreta che non furono i russi a far avere a WikiLeaks le mail hackerate al Democratic National Committee durante la campagna presidenziale di Hillary Clinton e che furono usate per metterla in difficoltà.

È interessante notare che Assange non è mai stato incriminato negli Stati Uniti. Tuttavia il fondatore di WikiLeaks sa benissimo che rischierebbe grosso se fosse tradotto in un tribunale americano per rispondere della pubblicazione nel 2010 di migliaia di documenti riservati dell'Amministrazione di Washington.

Forte di questa consapevolezza, Rohrabacher ha fatto la sua proposta ad Assange e mercoledì scorso ha telefonato al capo di gabinetto della Casa Bianca, l'ex generale John Kelly, suggerendogli di considerare per il controverso hacker di origini australiane «una specie di grazia o qualcosa del genere».

La risposta della Casa Bianca non è stata però quella sperata da Rohrabacher. Secondo fonti di Pennsylvania Avenue, Kelly avrebbe risposto al deputato californiano che «era meglio discutere di questo tema con l'intelligence community» e si sarebbe rifiutato di negoziare con Rohrabacher. Secondo il Wall Street Journal, inoltre, il presidente Trump non sarebbe stato informato dei dettagli del piano di Rohrbacher: chiara la volontà di Trump di sottolineare la sua estraneità a questa manovra.

Al di là dell'ipotetico contenuto di verità del materiale che Assange sarebbe in grado di fornire, quella di Rohrabacher non sembra una buona idea. È infatti difficile immaginare che l'opinione pubblica americana sia disposta a considerare credibile il risultato di una manovra così scopertamente sfacciata. Essendo ben nota la disistima reciproca tra Assange e Trump, un favore concesso da quest'ultimo al primo avrebbe l'inequivocabile sapore di un gesto interessato e poco pulito.

Continuano intanto a diffondersi notizie che confermerebbero come un ruolo del Cremlino nelle vicende elettorali americane ci sarebbe effettivamente stato. É sempre il Wall Street Journal a scrivere che Facebook avrebbe consegnato al procuratore speciale per il caso Russiagate Robert Muller le prove di un acquisto fatto da ambienti vicino al Cremlino di spazi pubblicitari che dovevano servire a condividere fake news.

Novità imbarazzante per Trump, che sulla presunta diffusione di false notizie a suo danno ha costruito più polemiche che grattacieli.

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