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Le urne spaccano i 5 Stelle. E salta la prima poltrona in Senato

Lascia il vicepresidente dei senatori grillini e crescono i malumori. L'accusa a Di Maio: si confronta solo con i vertici

Le urne spaccano i 5 Stelle. E salta la prima poltrona in Senato

Se Luigi Di Maio ammette la sconfitta, ma non ha nessuna intenzione di fare passi indietro, l'ennesimo flop alle urne per il Movimento 5 Stelle fa cadere le prime teste.

Ieri pure Alessandro Di Battista aveva bollato come "stupidaggini totali" la richiesta di dimissioni al capo politico pentastellato. Ma proprio in contrasto con questa decisione, Primo Di Nicola si è dimesso da vicepresidente del gruppo parlamentare grillino al Senato. "Una decisione che ritengo necessaria non solo alla luce del risultato elettorale ma anche e soprattutto delle cose che ci siamo detti in tanti incontri e assemblee", ha scitto il senatore su Facebook, "Mettere a disposizione del Movimento gli incarichi. È l'unico modo che conosco per favorire una discussione autenticamente democratica su quello che siamo e dove vogliamo andare". Un post che è stato preso d'assalto da chi parla di una scelta "ragionevole e matura" e si augura che "sia di esempio a chi è, almeno per organigramma, più responsabile di Lei di questo anno di continui errori". Ma anche da chi lo accusa di voler scappare dalle responsabilità.

Nel Movimento comunque il dibattito è aperto e serpeggiano i malumori. Qualcuno punta il dito contro le scelte di comunicazione degli scorsi mesi, ma anche contro lo stesso Di Maio, reo di aver preso decisioni consultando solo un ristretto gruppo di persone e di avere troppi incarichi. C'è anche chi giudica "infelice" la scelta del vicepremier di sottolineare che "nessuno ha chiesto le mie dimissioni". E ora in molti starebbero chiedendo al leader di rimettersi in discussione, persino con un referendum su Rousseau. "Le dimissioni si danno, non si chiedono", dice all'Huffington Post il senatore Matteo Mantero, "Detto questo i nostri attivisti hanno votato il capo politico, sarebbe giusto chiedere a loro se dopo questa sconfitta debba andare avanti".

"Le lezioni servono per riflettere sugli errori commessi", accusa però Carla Ruocco, presidente della commissione Finanze della Camera, "Evidentemente Roma non è stata di insegnamento. Luigi rifletta se deve dimettersi per un nuovo slancio del Movimento 5 Stelle che non implica rimanere al governo a tutti i costi".

È la "ribelle" Elena Fattori a non nascondere l'irritazione. "Il voto è stato un grande disastro di cui si deve assumere tutta la responsabilità Luigi Di Maio, visto che si è blindato con un regolamento che gli dà tutti i poteri", accusa la senatrice al Corriere della Sera, "Io in assemblea chiederò le sue dimissioni dai due ministeri. Non può fare tutto e male. Se qualcuno lo chiedesse, dovrebbe rimettere il mandato in mano agli iscritti. Con una disfatta del genere non si può far finta di niente".

E poi c'è Gianluigi Paragone che se la prende con "la generosità di Luigi di mettere insieme 3-4 incarichi". "In qualche modo deve essere rivista", dice il senatore pentastellato al FattoQuotidiano.it, "Il Movimento per ripartire ha bisogno di una leadership politica, non dico h24 ma non siamo lontani".

Sembra difendere - in parte - Di Maio Roberta Lombardi che in un post su Facebook ricorda: "Quando c'è una sconfitta - la 'lezione da imparare' - gli errori si distribuiscono, le responsabilità si assumono, i cambiamenti si mettono in conto. La responsabilità in capo ad un solo uomo è deleteria per il Movimento, ed è un concetto da prima repubblica. Usato e abusato da Renzi & Co".

Saltato il vertice dei parlamentari - che pure chiedevano di essere coinvolti nell'analisi del voto - perché alcuni di loro non riuscivano ad essere presenti, Di Maio ha preferito comunque riunire pochi fedelissimi al Mise. "Ci sono tante cose da fare, nessuna novità da comunicare", ha chiosato il vicepremier dopo un vertice di tre ore a cui hanno partecipato pure Alessandro Di Battista, Gianluigi Paragone e lo staff comunicazione dei 5 Stelle (Rocco Casalino in testa). Smentito - per ora - un incontro a Milano con Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Ma sul tavolo resta la tanto annunciata riorganizzazione del movimento.

Che potrebbe sancirne la trasformazione definitiva in partito come gli altri.

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