Agroalimentare, Europa contro tutti

La questione dell’interscambio agricolo tra Unione Europea e Paesi grandi esportatori di prodotti della terra - ossia il casus belli del vertice dell’Organizzazione mondiale del Commercio, Oms/Wto, che mentre scriviamo si sta concludendo a Hong Kong - nello scorso ottobre era stata anticipata da un convegno internazionale svoltosi a Parma il cui cruciale interesse, alla luce di quanto accaduto durante tale vertice, è oggi più che mai evidente. Per iniziativa della locale Camera di Commercio e dell’Istituto Italo-latinoamericano, a Parma figure-chiave dell’allora imminente vertice di Hong Kong, da Roberto Rodrigues, ministro dell’Agricoltura del Brasile (il primo esportatore mondiale di prodotti agricoli) a José Mujica, carismatico presidente dell’assemblea dei ministri dell’Agricoltura del Mercosur, erano intervenute sul tema preannunciando di fatto la linea che avrebbero tenuto a Hong Kong. Era anche in programma un dibattito a due fra Rodrigues e il nostro ministro dell'Agricoltura, il quale però ha dato forfeit. Si è così persa l’occasione di un previo scambio di vedute non formale che certamente sarebbe stato molto utile all’Italia in vista del difficile vertice in agenda di lì a qualche settimana nella città cinese. «Scambi agricoli e partnership per l’innovazione in agricoltura» era il tema al centro del seminario di Parma, ormai divenuta capitale dell’agroindustria di qualità non soltanto italiana ma europea.
Sulla questione dell’interscambio agroindustriale alla scala planetaria lo schieramento internazionale delle forze è molto diverso dal solito. In questo caso infatti gli Stati Uniti, e anche Paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda e il Canada, sono fianco a fianco di economie come quelle del Cono Sud dell’America latina. L’Unione Europea invece è sola contro tutti: questo perché il mercato agro-alimentare dell’Unione è protetto da barriere doganali e non doganali quasi insuperabili, e soprattutto perché l’Ue vende sottocosto le sue eccedenze alimentari in Asia andando a fare concorrenza a chi esporta prodotti agroindustriali per trarne legittimo profitto e non per smaltire merci fuori mercato. Due le proposte approfondite durante l’incontro di Parma, cui partecipavano esperti qualificati sia dell’Ue che del Mercosur (il mercato comune dei Paesi del Cono Sud dell’America latina): la prima era quella di un’accettazione della chiusura del mercato europeo alle importazioni agroindustriali dal resto del mondo in cambio però di un impegno dell'Unione a non vendere più sottocosto le proprie eccedenze alimentari sui mercati internazionali; la seconda era quella di uno sviluppo di accordi per regolare la concorrenza in materia di prodotti agroindustriali di qualità, dal vino di marca ai formaggi tipici, come ad esempio il parmigiano-reggiano, con l’impegno da parte dei produttori extraeuropei a non usare nomi tipici italiani in cambio della possibilità di mettere sul mercato con altro nome, anche se con la stessa tecnologia, prodotti analoghi di minor qualità a prezzo più basso. Sulla prima delle due proposte c’è poco da dire poiché è di un’equità indiscutibile.

Sulla seconda bisogna intendersi bene, ma un accordo ragionevole sarebbe possibile. Bisognava però lavorarci per tempo. Senza adeguata preparazione infatti i grandi vertici rischiano di provocare soltanto dei grandi fallimenti, oppure degli accordi di facciata buoni soltanto per i telegiornali.

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