Alitalia, Berlusconi insiste: «Non ci sarà una svendita»

Il cda comunica la trimestrale e risponde a Ermolli: «Vedere i conti? Presenti manifestazione d’intenti»

da Milano

Peggiorano ancora i conti dell’Alitalia. E non s’intravede, allo stato, la soluzione della sua crisi. Ieri il consiglio di amministrazione - il primo, dopo l’insediamento del governo Berlusconi - è andato avanti fino a mezzanotte. Le perdite salgono a 215 milioni di euro e il patrimonio netto è ormai un salvadanaio sempre più piccolo: 96 milioni di euro. Una somma che non è in grado di «garantire operatività in prospettiva». In pratica, c’è il rischio molto, molto concreto di non volare più. Serve - dice il Cda di Alitalia - una ricapitalizzazione in tempi stretti.
All’ordine del giorno anche la discussione sulla richiesta presentata venerdì scorso da Bruno Ermolli (consulente ad hoc di Silvio Berlusconi), di prendere in esame i conti della compagnia. La risposta del Cda è stata: prima di vedere i libri contabili serve una manifestazione di interesse.
Ieri ci sono state anche nuove dichiarazioni politiche del neopresidente del Consiglio. Berlusconi, parlando della crisi di Alitalia, ha nuovamente garantito l’impegno per «risolvere positivamente, contemperando l’interesse nazionale e le regole del mercato, una rilevante questione industriale, senza svendere e senza rinazionalizzare». Secondo molte indiscrezioni della vigilia il suo candidato in pectore per la guida della compagnia sarebbe Mario Resca; ma i tempi del suo insediamento potrebbero slittare di un paio di settimane. La decisione per ora è congelata. Ieri, tra l’altro, ha preso i primi contatti a Bruxelles il neocommissario Ue ai Trasporti, Antonio Tajani, che potrà giocare un ruolo importante sulla sponda europea della vicenda Alitalia. Se dieci anni fa al posto del britannico Neil Kinnock ci fosse stato un italiano oggi assisteremmo a tutta un’altra storia.
La trimestrale fa segnare una perdita di 215 milioni di euro prima delle imposte, con un peggioramento di 62 milioni rispetto al precedente esercizio. Un peggioramento in gran parte riconducibile al forte incremento del costo del carburante (62 milioni) e alla bassa stagionalità. I ricavi del traffico del primo trimestre 2008 sono stati pari a 954 milioni con una riduzione di 43 milioni (-4,3%) in ragione di una flessione dei ricavi passeggeri a causa della riduzione della capacità offerta. La perdita operativa consolidata è stata pari a 161 milioni con un peggioramento di 48 milioni.
Per meglio valutare l’andamento, va tenuto conto di alcuni elementi. Innanzitutto, fin dall’inizio dell’anno il network di Alitalia ha cominciato a contrarsi, sulla base del cosiddetto piano-Prato, riducendo offerta e ricavi; ma il ritiro «programmato» da Malpensa come hub è scattato con l’orario estivo, entrato in vigore il 30 marzo. In altre parole, l’effetto dei risparmi derivanti dalla scelta di «ripiegare» su Fiumicino si vedrà da aprile, e quindi avrà effetto sul secondo trimestre; il «costo» di Malpensa era valutato in 200 milioni all’anno di perdite.
Le perdite scontano anche, senza dubbio, una contrazione (che qualcuno ha ipotizzato nell’ordine del 40%) delle prenotazioni derivante dalle incertezze sul futuro della compagnia e sulla sua immagine fortemente deteriorata. Quanto al petrolio, non risulta che in questo momento le sue oscillazioni di prezzo siano protette da contratti di hedging, troppo costosi: in una specie di volano, più le casse delle compagnia sono vuote, più questa è esposta sul fronte del carburante.

Era già successo nell’era di Cimoli, che aveva potuto garantirsi sui prezzi del petrolio solo dopo l’aumento di capitale di fine 2005. Ma Alitalia non è stata fortunata: è sempre rimasta esposta ai rincari, mentre nei periodi di copertura il prezzo del greggio è sceso. In Borsa, più 3,54 per cento.

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