Caro Direttore,
non so se il giudice sentirà il morso del rimorso. Eppure con la immediata concessione dei domiciliari ha «vanificato» la condanna di tre anni di carcere a Corrado, che un anno fa a Pinerolo, ubriaco in macchina, investì e uccise una ragazza sedicenne. Lui sì, suicida «ai domiciliari», il rimorso lo ha provato. Eccome. Quella espiazione, troppo blanda, gli sarà parsa inadeguata. Ma qualche giudice, colpito dalla «sindrome di perdonismo» che sta pervadendo la nostra Penisola (e forse dalla penuria di celle libere...), non glielo ha permesso.
Che ci sia un certo eccesso di perdonismo da parte dei magistrati non lo scopriamo certo oggi. E che ristabilire il principio del «chi sbaglia» paga sia una delle priorità di questo Paese è evidente. Ma nella vicenda che lei cita, e che abbiamo raccontato sul «Giornale» di ieri, a dir la verità, quello che più colpisce non è tanto la lieve pena assegnata dal giudice quanto quella pesantissima che si è autoassegnato quel giovane. Un gesto sbagliato, sintende. Eppure, se possibile, dentro quella tragedia cupa e malata sintravede un filo di luce. Perché Corrado, se non altro, ha provato rimorso. Ed è quasi una rarità, fra ragazzini che massacrano coetanee per poi sbottare a cuor leggero davanti alla Polizia: «Ora che ho confessato tutto posso andare a casa?»; e imputati alla Raffaele Sollecito che appena vengono rinviati a giudizio chiedono agli avvocati: «Benissimo, adesso sono libero?». Ci sono assassini che per anni continuano a chiedersi perché sono in cella «per una ragazzata» e bulli incalliti che non riescono a rendersi conto di che cosa ci sia di male nel picchiare un compagno disabile.
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