La bozza di disegno di legge sul teatro e lo spettacolo dal vivo, denominata «bozza Montecchi» dal sottosegretario che lha presentata, ha suscitato le giuste reazioni di indignazione da parte di tutto il mondo del teatro, siano essi attori, produttori, impresari, direttori di stabili, di scuole e tecnici di scena, perché non farebbe altro che aggravare una situazione già molto critica. Avendo fatto lattrice di teatro per 18 anni conosco a fondo le criticità di un settore che, al di là dei numeri sulla affluenza di pubblico sbandierati, è in grande crisi di identità e di equità. In questi ultimi anni si è ormai affermata una politica per lo spettacolo dal vivo di stampo veltroniano, legata ad un interventismo pubblico tutto centrato a finanziare, con grandi investimenti, grandi eventi; con grandi nomi che hanno il solo obiettivo di un ritorno di immagine del politico e non di un reale sostegno al settore. Questa politica, imitata da altri amministratori della penisola, ha ingenerato logiche e meccanismi che hanno progressivamente creato il deserto in questo settore, dove i veri professionisti sono sempre più emarginati con ricadute sulla qualità, la sperimentazione e linnovazione. Se questo è il quadro prevalso nelle grandi città, del grande evento da prima pagina, la realtà teatrale delle province è ancora più desolante. Se un centro di medie dimensioni riesce, in un anno, a mettere in programma cinque spettacoli dal vivo è un successo, tralascio di dire cosa succede nei piccoli comuni: niente. Quindi il problema è effettivamente drammatico e la proposta di riforma del governo Prodi ha giustamente fatto indignare gli addetti ai lavori, perché non fa che sorvolare sui reali problemi che vivono coloro che a questo lavoro hanno dedicato una vita: mancanza di autonomia del teatro dalla invadente ingerenza della politica; scarsa incentivazione del privato ad investire nel settore, totale assenza di ricerca e innovazione e di valorizzazione del merito e del talento. Di tutti questi nodi nel disegno di legge del governo non cè traccia.
In particolare sul primo punto occorrerebbe una chiara norma che renda incompatibili lassunzione di incarichi di gestione di enti pubblici e imprese di spettacolo con cariche politiche. Purtroppo con questo governo stiamo, al contrario, assistendo ad una occupazione politica dei gangli del nostro sistema culturale che è senza precedenti. Riguardo al cinema pensiamo alla nomina degli attuali vertici di Cinecittà Holding e delle sue controllate (Istituto Luce e Filmitalia), nomine adottate dal ministro Rutelli senza un minimo criterio meritocratico; due dei tre presidenti non provengono nemmeno dal mondo del cinema, ma sono espressione del ceto politico, e questo in palese violazione della legge Frattini sullo spoil system. Per questo sono perfettamente comprensibili le preoccupazioni degli attori, che si sono riuniti proprio per fare fronte comune contro il disegno di legge Montecchi, che riproporrebbe anche a livello regionale il modello degenere di una politica clientelare: demandando alle Regioni lutilizzo del Fondo unico dello spettacolo, porterebbe alla crisi di tutto lo spettacolo dal vivo italiano già ridotto, nella migliore delle ipotesi, allarte di arrangiarsi e, nella peggiore, ad elemosinare dal potente di turno un po di briciole. Da liberali siamo dalla parte di questi attori che hanno dato vita ad un tavolo di confronto per promuovere una vera riforma dello spettacolo dal vivo, da ben 60 anni promessa e mai ottenuta, perché rivendicano ciò che ogni liberale dovrebbe rivendicare: la fine dellinvadenza dello Stato che da controllore diventa anche impresario e produttore.
*Vice responsabile nazionale
Dipartimento Spettacolo
di Forza Italia
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