ANNUNZIATA, INTERVISTE IN POLITICHESE

ANNUNZIATA, INTERVISTE IN POLITICHESE

In mezz’ora ci sarebbe modo di intervistare chiunque con una ragionevole probabilità di cavarne fuori qualcosa di insolito, di sostanzioso, di non previsto. Può invece accadere che in mezz’ora venga fuori, da un’intervista, solo quello che ti aspettavi e nulla più. È ciò che capita al nuovo programma di Lucia Annunziata che si chiama proprio In mezz’ora (domenica su Raitre, ore 14,30) e che nasce pieno di buone intenzioni. Infatti l’intervistatrice va a trovare l’intervistato nella città dove risiede, nell’ufficio dove lavora, e questo farebbe ben sperare, è un buon modo per togliersi dall’ufficialità dello studio tv o dalla cornice freddina del collegamento esterno. Poi però, a mano a mano che procede l’intervista, sia che il personaggio si chiami Cofferati o Dell'Utri o Mario Monti (protagonista dell'ultimo incontro) l'intervista prende la china tipica del dialogo tra addetti ai lavori, con riferimenti continui alla dichiarazione rilasciata il giorno x sul giornale y dall'esponente politico Tizio che aveva a sua volta risposto a Caio. Per carità, Lucia Annunziata è quanto mai ferrata nel citare, ricordare e rilanciare tutto quel tessuto di scambi incrociati di pareri, prese di posizione e «intenti programmatici» (tanto per adeguarsi al politichese di queste interviste) di cui sono ancora piene le pagine di cronaca politica dei quotidiani. Però occorrerebbe intendersi: queste interviste devono essere viste e apprezzate dal pubblico, fatte nel suo interesse e per la sua esigenza di comprensione dei problemi, o per essere commentate e apprezzate dai direttori dei giornali e dalla ristretta cerchia di quell'élite giornalistica che già mastica tale materiale tutti i santi giorni? Le interviste di Lucia Annunziata sono un indicativo esempio dei limiti di un giornalismo che, abituato alla contiguità con il mondo politico, ha finito per trattare ogni problema con l'occhio dell'editorialista anziché del cittadino, con il linguaggio e la logica del politologo anziché con la curiosità del rispettabile uomo comune. Glielo ha detto a un certo punto, seppur con gentilezza, persino Mario Monti: «Non mi tratti da politologo!».

Il problema è che la Annunziata intende queste interviste proprio come un esercizio di politologia, in cui il giornalista ragiona sui problemi di attualità mettendosi sul terreno preferito dai politici anziché cercare uno sguardo meno convenzionale, uno spiazzamento dialettico capace di metterli davvero in difficoltà. Alla fine si ha la malinconica impressione che queste interviste servano più che altro all'Annunziata per rilanciarsi come analista politica, ma agli occhi del Palazzo piuttosto che a quelli dello spettatore.

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