Gli avvocati: «Troppo spesso mortificati i diritti degli imputati»

Separare le carriere dei giudici da quelle dei pubblici ministeri: ieri negli stessi momenti in cui il procuratore generale Manlio Minale respinge con forza questa ipotesi (e anzi rivendica la «osmosi» tra le diverse figure della magistratura come garanzia di legalità) gli avvocati penalisti milanesi tornano a chiedere che le strade professionali delle toghe si dividano definitivamente.
Un documento della Camera Penale di Milano (l’organismo che raggruppa gli avvocati specializzati in diritto penale) torna a indicare le storture che incontrano giorno per giorno nel funzionamento della macchina giudiziaria milanese: in questa macchina, denunciano i legali, i diritti degli imputati vengono spesso mortificati. Secondo il direttivo della Camera penale, i giudici troppo spesso accolgono acriticamente le tesi della pubblica accusa e abusano del copia-e-incolla, con conseguenze a volte grottesche: «Vorremmo - scrivono i penalisti - che il giudice nel rigettare una richiesta di scarcerazione non usasse il file già utilizzato per un altro indagato, confondendone così non solo il nome ma anche il ruolo avuto nei fatti oggetto di imputazione».
Gli avvocati chiedono la modernizzazione delle procedure e l’avvio del processo telematico ma si domandano «per quale motivo nell’ultimo decennio le ingenti risorse finanziarie impiegate (un miliardo e mezzo di euro) non abbiano conseguito alcun risultato apprezzabile».

E infine lamentano come, anche nella vita quotidiana, il dialogo con i magistrati si scontri con ostacoli insormontabili: «Vorremmo che conferire con il pubblico ministero non sia più un’impresa epica ma lo strumento necessario per accelerare in tanti casi la definizione dei procedimenti».

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