Sono passati 260 anni dal 6 luglio 1747, giorno della morte del glorioso capitano di compagnia franca, Lorenzo Barbarossa, cui Voltri ha dedicato una piazza nel 1997, per sopperire a quella scomparsa nei bombardamenti del 1944. La guerra per la successione austriaca (quella detta del Balilla) stava per finire e sporadici erano i combattimenti attorno a Genova. Era una bella, limpida mattinata quella in cui a Cornigliano egli osservava con il cannocchiale i movimenti dei nemici piemontesi e austriaci in lenta ritirata quando, all'improvviso, imprevedibilmente, venne ferito ad una gamba. Un diario del tempo parla di un decesso immediato per dissanguamento, mentre il Cabella sostiene che sarebbe morto alcuni giorni dopo il ferimento. Il commissario di guerra Basadonne parla di ferimento: «nel doppo pranzo per uscita da una arteria di sangue copioso e non trovandosi un cerusico pronto, diede a morte da li a poco». Il Basadonne dal rude soldato che era, si preoccupò soltanto di chiamare il fratello di Lorenzo, Antonio Barbarossa, per rimpiazzarlo, poi ordinò a un tenente di seppellirlo, dove? Non si è mai saputo. Moriva così misteriosamente il biondo eroe della Val Leira a soli 27 anni «pianto dai popolani e da tutti i suoi compatrioti». Le ipotesi intorno a questa morte sono tante, noi abbracciamo quella del complotto. Era in attesa di due processi; il primo per aver sparato al Bargello, un magistrato che era a capo della polizia, secondo in gerarchia soltanto al Magnifico Capitano di Voltri. Il secondo per aver fatto finta di recarsi all'ufficio di Veditoria del Ducale per restituire una somma di denaro al governo e aver preso invece un'uscita secondaria tenendo seco i soldi. Giunti a questo punto, non si poteva certo fargliela passar liscia ma, a processare l'eroe c'era da inasprire gli animi del popolo che lo venerava e allora, ecco la soluzione più comoda: «Lo ammazziamo noi, visto che il nemico non ci riesce».
Dopo la sua scomparsa, il governo della Repubblica mantenne agli studi e munì di dote la figlia Teresa procurandole un matrimonio con un industriale, Giuseppe Polleri. Il figlio maschio, Lorenzo, nato dopo la sua morte, mantenuto e cresciuto militarmente dal governo, diventerà capitano degli alabardieri del Palazzo Ducale.
Figlio di Benedetto Barbarossa, proprietario di diverse cartiere all'Acquasanta, a Mele e a Voltri, Lorenzo aveva «scagno» in Piazza dello Scalo e commerciava in legnami, stracci e naturalmente «bianco papero».
Accinelli, lo storico coevo, nelle sue cronache dice: «Niuno superò in ardimento il capitano Barbarossa... solo lui tenne sempre instancabilmente la campagna... compariva come un fulmine alle spalle dei piemontesi e ai fianchi degli austriaci: a Masone, a Ovada, a Campo, a S.Nicolò di Voltri, alla Bocchetta, a Coronata. Il Mercure de France esaltava l'azione di inseguimento da Voltri, da lui liberata, fino al deserto di S.Antonio (Pegli al Castelluccio) dove fece un vero eccidio di stupratori tedeschi e piemontesi». Il prete Agostino Pareto scrive: «Ogni volta che conduceva al Ducale un gruppo di prigionieri, le donzelle di Pré gli movevano incontro e cantavano in sua lode, al pari delle zitelle di Sion quando ricevettero David trionfante su Golia».
Lo storico Giorgio Doria scrive: «L'indomito capitano Barbarossa fu compianto universalmente da ogni ordine di cittadini al pari del martire patrizio Pier Maria Canevari». Anfrano Sauli, commissario generale della Riviera di Ponente, non mancava di informare, per iscritto, il Governo dell'azione instancabile della compagnia di Lorenzo Barbarossa che, di tanto sangue nemico aveva colorato la Valle Stura, la Valle Polcevera, quella del Leira e quella del Cerusa. Il comandante frate Gerolamo Balbi disse che all'assalto della postazione della Madonna della Guardia, bastò mettere in giro la voce, non vera, che il Barbarossa aveva già attaccato; bastò quello perché gli assalitori, convinti di essere preceduti dal Barbarossa, si rinfrancassero e si decidessero a muoversi e a vincere.
Il suo ricordo rimase mitico nei valligiani per aver difeso il territorio dall'espansionismo sabaudo, ragione per la quale, il suo nome subì il pesante ostracismo degli storici asserviti alla monarchia, i quali dicevano che la sensazione del pericolo lo inebriava e che il pericolo era divenuto il bisogno della sua natura. Anche la Resistenza, non ha mai fruito di colui che il Mercure de France chiamò: «Le bon partisan Barbarossa». Il brivido per la scoperta falsità scuote la Voltri «conservatrice» che non può sottovalutare il suo difensore cosicché, il 18 maggio 1996 l'Associazione culturale le Voltritudini organizza una mostra storica illustrata al Tunnel di via D.G.Verità, tutta dedicata al prode concittadino e intraprende l'iter burocratico per dedicargli una piazza in via Pietra Ligure. In una bella serata del giugno 1997 la piazza in oggetto era affollata di bambini delle varie scolaresche di Voltri e di Mele, i quali avevano allestito una mostra di disegni improntati sulla «difesa del suolo natio». Dopo un discorso commemorativo tenuto dal professor Paolo Giacomone Piana, l'industriale cartario voltrese, Gino Barbarossa, discendente del capitano Antonio Barbarossa, fratello di Lorenzo, scoprì la targa fra gli applausi del folto pubblico presente. Nei primi anni Duemila, dopo instancabili ricerche negli archivi storici, l'operaio studente Giorgio Casanova si laurea presentando una tesi improntata sul capitano di Compagnia Franca, Lorenzo Barbarossa. Nel 2005 il trimestrale dell'accademia urbense di Ovada chiama Giorgio Casanova a descrivere su 42 pagine l'azione dettagliata e documentata di Barbarossa sul territorio di Ovada, Campo, Rossiglione e Masone.
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