Basso e rozzo, ecco l’agente dal cuore tenero

Micheli Anselmi

da Roma

Alla fine la premiata ditta Broccoli (il socio Saltzman morì anni fa) ha visto giusto. Benché sbeffeggiato dai puristi, il nuovo 007 incarnato da Daniel Craig, sesto Bond della saga, vola al botteghino. Uscito il 17 novembre sul mercato nordamericano, Casino Royale ha già incassato 94 milioni di dollari, secondo solo a Happy Feet; e in patria, dove la scommessa sembrava più rischiosa per ovvi motivi, è a quota 27 milioni di sterline. Di questo passo, i 150 milioni di dollari spesi saranno velocemente ammortizzati. Da noi arriva il 5 gennaio, per evitare il cimento con i tre cinepanettoni comici, ma ieri giornalisti ed esercenti l'hanno visto in anteprima, nel quadro degli «Screening d'autunno» promossi a Roma dall'Anec.
Com'è? Diciamo spiazzante, troppo lungo (144 minuti), adrenalinico nell'incipit, classico nel mezzo, sorprendente nell'epilogo, almeno per chi non conosce il romanzo da cui è tratto. Giacché fa un certo effetto vedere uno 007 innamorato, che si strugge e quasi si lascia morire sott'acqua, dopo aver fatto crollare un palazzo a Venezia nel tentativo di salvare la donna per la quale ha perso la testa: la sontuosa e traditrice Vesper Lynd interpretata da Eva Green. Di lei, attrice francese lanciata da The Dreamers, Bertolucci disse: «È talmente bella da sfiorare l'indecenza». Si può capire, quindi, perché anche un duro come Bond, avvezzo a godersi femmine d'ogni continente, crolli di fronte alla sua venustà. Salvo poi, sentendosi raggirato, inveire: «Le sta bene, a quella puttana!». Non sa che se è ancora vivo, lo deve proprio a lei.
Certo, chi è cresciuto con i film di 007, magari senza abbeverarsi al colto saggio di Umberto Eco, Strutture narrative in Fleming, sulle prime resterà perplesso di fronte a questo novello Bond: bassetto, coi capelli biondi, gli occhi troppo celesti, il naso da pugile e il fisico palestrato (dovreste vederlo quando, bel sirenetto, esce dal mare, neanche fosse Ursula Andress o Halle Berry). Quasi un'eresia di fronte all'inarrivabile modello Sean Connery. Non fosse altro perché, ironizza il bondologo Antonello Sarno, nei film degli anni Sessanta uno col fisico e la faccia di Craig avrebbe interpretato l'antagonista di Bond, un killer del Kgb, come il Robert Shaw di Dalla Russia con amore. Eccolo, invece, nei panni dell'eroe eponimo, ingaggiato dopo mille provini, con qualche patema d'animo, nel tentativo di rinverdire le fortune di 007 dopo le ultime deludenti performance di Pierce Brosnan. Tipo elegante, ma così maledettamente simile a un commercialista dei Parioli.
In effetti, serviva una sferzata di sesso e violenza, sicché il rude Craig deve essere parso l'uomo giusto per l'operazione restyling. Meno marchi famosi, tecnologia e fantascienza (l'ultimo della serie, La morte può attendere, era una noia mortale), più psicologia e aderenza alle caratteristiche originarie di Bond, e cioè sadismo da «bully» collegiale e desideri snobistici da ex povero. Il sesso, magari, verrà nelle prossime puntate.
Proponendosi come un nuovo inizio, Casino Royale immagina, nell'antefatto praghese in bianco e nero, un Bond ancora piuttosto inesperto, tutto muscoli e poco cervello. Ha appena ricevuto l'ambito doppio zero, che attesta la licenza d'uccidere, e forse per questo combina parecchi guai in Africa sotto lo sguardo spazientito del suo capo-donna, «M», ossia Judi Dench. Alla quale si deve la battuta forse più divertente del film: «Dio, come mi manca la Guerra fredda».
Già. Benché le spie russe continuino a morire avvelenate, nell'epoca del dopo Muro il nemico non viene più da Mosca: lo sfigurato Le Chiffre, banchiere incline al terrorismo, piange lacrime di sangue giocando a poker con 007, e quasi farebbe simpatia se non torturasse l'eroe, nudo su una sedia sfondata, martoriandogli i testicoli con una corda. Da qui l'altra frase cult del film: «Qualsiasi cosa sia rimasta di me, sono tuo», sussurra Bond a Vesper, prima della tragica luna di miele sul Canal Grande. Curiosità.

Il film, diretto da Martin Campbell, sfodera ben quattro italiani nel cast: Giancarlo Giannini, Caterina Murino, Claudio Santamaria e Urbano Barberini. Bravini. Ma tutti insieme non fanno l'Adolfo Celi di Operazione Tuono.

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