Benzina troppo cara: gli sceicchi del petrolio importano carbone

Emirati Arabi sull’orlo del black out elettrico. Le centrali a gasolio hanno costi esagerati

È come se gli esquimesi comprassero all’estero milioni di ghiaccioli. O se gli abitanti del Sahara si accorgessero di non avere abbastanza sabbia. Eppure negli Emirati Arabi Uniti è successo: ad Abu Dhabi e a Dubai, la New York del Golfo Persico, gli sceicchi del petrolio hanno deciso di avviare l’importazione di carbone dal Sud Africa per produrre energia elettrica. Sembra paradossale ma la corsa del prezzo del greggio ha messo in difficoltà anche loro: e così uno dei più grandi esportatori mondiali, alle prese con infrastrutture carenti e con un aumento della richiesta di energia che lo scorso anno ha sfiorato il 15% e che promette di continuare a salire per tutto il prossimo decennio, deve cercare strade nuove.
Il primo campanello d’allarme è suonato l’estate scorsa: per mantenere attivi gli impianti di desalinizzazione e i condizionatori, fondamentali in un paese dove la temperatura esterna è spesso oltre i 50 gradi, gli Emirati hanno dovuto dirottare l’energia elettrica necessaria per pompare il petrolio dai pozzi. Risultato: la produzione petrolifera è calata di circa 600.000 barili al giorno; ai prezzi attuali, 72 milioni di dollari andati in fumo ogni 24 ore. Del resto il problema di risparmiare energia è quanto di più lontano possa esserci dalla mentalità degli sceicchi: basti pensare a quella spesa per raffreddare l'enorme pista da sci artificiale costruita a Dubai, un monumento allo spreco. Solo di recente, esattamente dallo scorso marzo, in Dubai è entrata in vigore un nuovo tariffario elettrico che penalizza i grandi consumatori, ma che colpisce solo le aziende straniere, mentre sono esenti i cittadini degli Emirati.
«Il problema è che se hai un prodotto che sul mercato viene venduto a 120 dollari al barile vuoi venderlo, non usarlo», ha spiegato Peter Barker-Homek, amministratore delegato della Taqa, una delle compagnie energetiche nazionali. «La scorsa estate, invece, ci siamo trovati ad alimentare le nostre centrali con benzina e diesel e questo non deve succedere di nuovo. Utilizzare il carbone, anche se presenta problemi ambientali, è economicamente più conveniente».
La soluzione, dunque, sarebbe stata individuata nel nucleare e nel carbone: ad Abu Dhabi hanno già preso accordi con la francese Suez per la costruzione di una centrale atomica, mentre un impianto a carbone da 500 milioni di dollari sarà presto realizzato dalla Taqa. Il gas naturale, di cui pure molte zone sono ricche, viene utilizzato quasi esclusivamente per mantenere la pressione nei pozzi petroliferi e aumentare le loro capacità estrattive.
Un'alternativa percorribile sarebbe importarne dai paesi vicini, come già avviene dal Qatar, ma i rapporti con il maggior esportatore della zona, l'Iran, non sono buoni. Già negli anni scorsi, infatti, una compagnia privata, la Dana Gas, aveva provato a costruire un gasdotto che portasse il combustibile iraniano fino a Sharjah attraversando il Golfo Persico, ma il progetto era naufragato, oltre che per un problema di prezzi, anche a causa degli ottimi rapporti fra Stati Uniti ed Emirati Arabi e della loro politica eccessivamente filo-occidentale per le opinioni di Teheran.
Carbone, dunque. E poi un futuro in cui avrà sempre più spazio il nucleare civile. Dopo le centrali iraniane che tanto preoccupano gli Usa e tutto l'Occidente, dopo i progetti per la costruzione di impianti atomici che l'Arabia Saudita ha annunciato dopo la visita di George Bush dello scorso fine settimana, toccherà anche a Dubai, Abu Dhabi e agli altri Emirati.

Nel frattempo, per essere sicuri di non dover più fronteggiare interruzioni d'acqua o di elettricità nel periodo estivo, gli Emirati hanno addirittura firmato un contratto di 15 anni con la Royal Dutch Shell. Durante le estati e fino al 2023 gli anglo-olandesi venderanno agli sceicchi benzina.

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