Vodka, letteralmente «acquetta». E questa acquetta, nellUnione sovietica che fu, scorreva a fiumi. Penetrava nella vita del Paese come un flusso carsico e sotterraneo, congiungendo le vite dei potenti e degli umili. Il tappo di metallo strappato in fretta e lurlo za zdorove erano, in fondo, lunica vera forma di egualitarismo che il sistema comunista fosse riuscito a creare. La lunga era Breznev (dal 1964 al 1982) è quindi raccontabile a partire dai suoi molti, e spesso infelici, brindisi.
È quello che fa Carlo Rossella - che fu inviato di Panorama oltrecortina - nel suo Vodka (Mondadori, pagg. 96, euro 13). Il risultato sono dieci piccoli racconti - sospesi tra verità, fantasia e verisimile - che regalano, con il loro effluvio quasi alcolico, il profumo e il gusto, aspro e impalpabile, di unepoca. Sfogliando le pagine si inciampa nella vita di personaggi grandi e piccoli le cui vicende, dove prima o poi compare un bicchiere, accostandosi luna allaltra, si trasformano in tessere del grande mosaico del socialismo reale. E non solo sovietico, perché la vodka moscovita arrivava anche Varsavia, Kabul, Mogadiscio e Cuba.
Ma forse il merito maggiore della penna ariosa di Rossella è di aver reso ogni storia, sussurratagli dagli spiritelli che vivono in fondo alla bottiglia, portatrice di una sua piccola verità. Si può perciò leggerle anche nella loro singolarità di commedie umane in nuce. Cammei che raccontano un amore, saffico e impossibile, che travolge la vita di due segretarie del grande e onnipresente apparato del partito, oppure la solitudine delluomo misterioso a cui Breznev affida le sue mani, oppure ancora ci regalano un giro in casa della spia più famosa della Guerra fredda.
Chiudendo il libro, le cui ultime pagine sono intinte nellamaro liquore del disastro afghano si ha limpressione di aver compiuto un viaggio.
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