Il caporale Shalit: «Sono vivo, liberatemi»

Il premier israeliano annuncia la liberazione di 250 detenuti di Fatah, lo sblocco di fondi e il libero transito in Cisgiordania

È una voce dall’inferno. È il primo messaggio dal 25 giugno di un anno fa quando un commando di militanti di Hamas e di altri due gruppi armati attaccò un blindato israeliano appena oltre le recinzioni di Gaza. Quel giorno il rapimento del 19enne caporale Gilad Shalit segnò la volontà di Hamas di non accontentarsi del ritiro israeliano dalla Striscia. Il riemergere, un anno dopo, della sua voce, gli accenni ad una salute sempre più precaria, i disperati appelli al governo perché accetti le condizioni per la sua liberazione, suonano come un ricatto al premier israeliano Ehud Olmert e a quanti ieri a Sharm El Sheik sono andati a stringergli la mano. Una cinica combinazione del destino offre ad Hamas la possibilità di marcare il primo anno di detenzione dell’ostaggio e, al tempo stesso, influenzare il vertice di ieri.
«Ricordati – sembra sussurrare a Olmert la voce dall’inferno - che non c’è speranza di isolare Hamas, che Mahmoud Abbas non basterà a risolvere tutti i tuoi problemi, che alla fine dovrai rassegnarti a trattare con Hamas». Quel messaggio, spregiudicato e subliminale, traspare da ciascuna delle frasi pronunciate dal prigioniero. «Sono Gilad, figlio di Noam Shalit, sono stato rapito da un anno e la mia salute incomincia a deteriorarsi, ho bisogno di un lungo ricovero all’ospedale», racconta la voce registrata. Papà Noam la riconosce immediatamente. «È la voce di mio figlio al cento per cento - assicura - anche se non riconosco il suo modo di parlare». Quel riferimento di Gilad alla propria salute contrasta con le informazioni diffuse ore prima dai portavoce dei Comitati di Resistenza Popolare, una delle tre organizzazioni responsabili del rapimento assieme ad Hamas e all’Esercito Islamico. «Gilad sta bene ed è in buone condizioni - assicurava il portavoce dei Comitati - lo trattiamo come prescrive la religione».
Shalit, invece, dice tutto l’opposto. La distonia suona come un bluff di Hamas. Come il tentativo di sfruttare, a proprio esclusivo vantaggio, un prigioniero ancora detenuto in strutture comuni. «Sono molto abbattuto - aggiunge la voce di Shalit - per la mancanza d’interesse dimostrata da governo ed esercito e per il rifiuto delle richieste delle Brigate Ezzedin Al Qassam. Se mi vogliono libero devono accettarle, sono un militare e non un trafficante di droga». L’allusione ai traffici di droga è un chiaro riferimento alla vicenda di Elhanan Tennenbaum, il losco colonnello israeliano attirato in trappola da Hezbollah nell’ottobre 2000 e liberato nel gennaio 2004 grazie al rilascio di 425 prigionieri arabi. Ma Ehud Olmert non cede.

Ascolta la registrazione prima di partire per l’Egitto, fa sapere, tramite i portavoce, di considerarla non solo una ripetizione di frasi dettate da Hamas ma anche «un espediente crudele» ed esclude nuovamente qualsiasi trattativa diretta.

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