Carlo Bascapè

Si chiamava Gianfrancesco ed era nato nel 1550 da una nobile famiglia di Melegnano, vicino a Milano. Nel 1574 si addottorò in diritto a Pavia ma, anziché cominciare una professione, si mise a disposizione di s. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Due anni dopo venne ordinato sacerdote. Vista la tremenda peste di quell'anno, entrò nei Barnabiti col nome di Carlo, in onore del suo mentore (di cui era l'uomo di fiducia). Scrisse una Storia della Chiesa e, alla morte del Borromeo, una biografia del santo. A soli trentasei anni fu eletto generale dei Barnabiti. Nel 1592 il papa Clemente VIII lo fece vescovo di Novara. Insediato in diocesi, il Bascapè mise in pratica gli insegnamenti e l'esempio ricevuti da s. Carlo Borromeo, applicando i decreti del Concilio di Trento sui seminari, le visite pastorali, la lotta al «contagio» calvinista proveniente dalla vicina Svizzera e alle prepotenze dei signorotti locali. Il fermo proposito di avviare le riforme di quella che impropriamente viene chiamata Controriforma gli procurò, naturalmente, acute inimicizie. Una volta gli incendiarono il palazzo episcopale, un'altra provarono ad avvelenarlo, un'altra ancora lo fecero segno a un colpo di archibugio, esattamente come era accaduto al suo maestro, s. Carlo Borromeo. E davvero il Bascapè fu il s.

Carlo di Novara, coi suoi ospedali, gli orfanotrofi, i nuovi edifici di culto che faceva erigere. Scrisse anche moltissimo, almeno un centinaio di opere di ascetica, agiografia, storia, diritto, liturgia, più un immenso epistolario. Morì di fatica nel 1615, dopo ventidue anni di episcopato.
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