Carnevale in latteria negli anni Cinquanta

Come Alberto Savinio, come Riccardo Bacchelli, come Dino Buzzati, come Giovanni Testori, anche Raffaele Crovi appartiene a quel drappello di scrittori non milanesi (fanno eccezione Carlo Emilio Gadda e Carlo Castellaneta che a Milano sono nati) che del capoluogo lombardo hanno raccontato l’anima e il volto. Romanzi come Un amore o come L’Adalgisa o come Notti e nebbie, racconti come quelli riuniti nella Gilda del Mac Mahon hanno tracciato il ritratto di una città in continua trasformazione eppure in certo qual modo sempre uguale a se stessa. Nato nel 1934, Raffaele Crovi ha sempre oscillato fra il suo presente milanese e le radici emiliane. Se in Ladro di ferragosto (1984) aveva raccontato la città resa spettrale dall’esodo estivo, nel recentissimo Carnevale a Milano (Avagliano) Crovi ritorna alla sua giovinezza milanese negli anni Cinquanta. Il romanzo è infatti ambientato nel carnevale del 1955 e un gruppo di studenti e di operai cercano un luogo a cui ancorarsi, una ragione per vivere. È il romanzo dello sradicamento, della sensazione di precarietà che solo la grande città può trasmettere. Il protagonista, Sergio, è innamorato di una ragazza di Genova, ma la distanza influisce negativamente sul loro rapporto.

Tra serate nelle latterie di via Terraggio e le innumerevoli sigarette, in una città fredda e nevosa che vive gli albori del boom economico, i giovani di Crovi, in questa vicenda dagli spunti autobiografici, si trovano e si lasciano in continuazione, perdono tempo, giorni e anni, cercando un motivi valido per andare avanti, in un carnevale lombardo che ricorda quello descritto, un secolo prima dal milanese Emilio De Marchi.

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