Alla Casa Bianca pur avendo meno voti del rivale approvò il primo budget federale da un miliardo

Dopo J.Q. Adams, ecco un altro «parente di» alla guida degli Stati Uniti. Benjamin Harrison era il nipote di William H. Harrison, ovvero il nono presidente degli Stati Uniti, quello passato alla storia per il mandato più breve di tutti (solo un mese).
Harrison vinse le elezioni presidenziali pur avendo ottenuto un numero di voti popolari inferiore a Grover Cleveland. Caso non unico, certo. Eppure sintomatico: perché Harrison non fu mai molto amato dalla gente. Preso di mira dalla stampa e dalla satira che si divertiva a prenderlo in giro per la sua piccola statura (lo chiamavano «il piccolo Ben»), non era particolarmente stimato neanche dai vertici del Partito repubblicano. Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 1888, i delegati del Gran Old Party dovettero ripetere le consultazioni otto volte per arrivare a tirare fuori il suo nome dal cilindro dei potenziali candidati alla presidenza. Otto scrutini per arrivare a lui, che veniva dall'Ohio (anche se si era presto trasferito in Indiana) ed era stato eletto senatore nel 1881.
La campagna che lo portò alla Casa Bianca fu molto particolare: l'avversario era Grover Cleveland, presidente uscente. Anch'egli non era particolarmente stimato. Di lui si diceva che fosse rozzo e poco colto. Ben, tuttavia, riusciva a stare addirittura meno simpatico alla gente del suo predecessore. Risultato: 107mila voti popolari in meno, ma un buon distacco di voti elettorali degli Stati. E quindi: Harrison presidente. Il suo mandato non fu particolarmente brillante, anzi: nonostante il Partito repubblicano già all'epoca avesse tra i suoi mantra politici quello del «meno Stato» e «meno spesa pubblica», il piccolo Ben fece esattamente l'opposto: per la prima volta non in tempo di guerra, il Congresso federale approvò un budget di spesa che superava il miliardo di dollari. Il presidente, invece di rigettarlo con un veto, lo fece passare. Tanto per smentire decenni precedenti e successivi di dottrine economiche care ai repubblicani, Harrison in campagna elettorale aveva promesso di dare sussidi agli agricoltori produttori di zucchero. Mica erano solo promesse: una volta alla Casa Bianca varò proprio questo provvedimento. Un aiuto pubblico molto simile a quello che ha dato Obama all'industria automobilistica e che ha fatto inorridire i repubblicani contemporanei. Per questo e per altri motivi Harrison non rappresenta per niente un'icona del mondo conservatore e repubblicano. Il germe dell'odio politico rispetto alle sue posizioni economiche si presentò molto in fretta: nelle elezioni di midterm del 1890 per il rinnovo di parte del Congresso si avvertì di colpo che i repubblicani non avrebbero potuto mantenere il controllo di Camera e Senato, considerati troppo deboli nei confronti di un presidente che ne indovinava davvero poche. Il partito mollò Harrison a se stesso, ma due anni dopo non riuscì a trovare un'alternativa credibile al presidente in carica per la corsa alla Casa Bianca.

Fu ricandidato per mancanza di alternative: di fronte si trovò il suo rivale, quel Grover Cleveland che aveva preso più voti popolari di lui e che però era uscito sconfitto. Non nel 1892, però: Harrison uscì con le ossa rotte dal confronto.

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