Caso Boccassini

Fuma il sigaro, Matteo Brigandì, chiacchiera con i cronisti, passeggia con Max, il suo schnauzer nero e sfoggia serenità. Tutto fuori dalla sua casa di Pecetto, sulla collina torinese, dove ha subito la seconda perquisizione, dopo quella della notte prima a Cumiana, quando gli hanno sequestrato computer e documenti.
Questa volta, dichiara, c’è stata anche «una perquisizione corporale». Stesso trattamento della redattrice de il Giornale Anna Maria Greco a cui, secondo le accuse, avrebbe passato atti segreti del Csm sul procedimento disciplinare degli anni ’80 contro la pm milanese Ilda Boccassini, poi assolta, di cui il nostro quotidiano ha scritto il 27 gennaio.
Il componente laico del Csm ha più volte negato, sostenendo di aver solo visionato il fascicolo Boccassini, ma di non aver «divulgato le carte, né parlato con nessuno». Dopo le perquisizioni dice: «Sono tranquillo, non ho nulla da cui difendermi, perché non sono imputato, ma indagato». Alle accuse, aggiunge Brigandì, risponderà nelle «sedi opportune, non sui giornali».
Neppure mostra risentimento verso magistrati e forze dell’ordine. «La Procura fa bene a indagare e i carabinieri fanno il loro lavoro». Il laico ed ex parlamentare della Lega, si definisce «un personaggio scomodo, perché non ho debiti con nessuno e non sono ricattabile». Ma subito precisa di non riferirsi a questa vicenda, di cui non vuole dire nulla e smentisce le voci di un’altra perquisizione nel suo studio: «Non ne ho più uno, quando sono stato nominato nel Csm mi sono cancellato dall’Albo degli avvocati».
L’impressione, certo, è che a Palazzo de’ Marescialli abbiano intenzione di farlo fuori. Prima con una sospensione, poi con la decadenza dall’incarico in caso di condanna. È partito dal Csm l’esposto alla Procura di Roma per la fuga di notizie dall’archivio dei vecchi procedimenti disciplinari secretati prima del 1985, contrariamente a quelli attuali.
I pm romani hanno iscritto Brigandì nel registro degli indagati per il reato di abuso di ufficio e martedì, per la prima volta nella storia, sono stati messi i sigilli (tolti il giorno dopo) all’ufficio di un consigliere del Csm.
Anna Maria Greco, invece, non è indagata, ma dopo le perquisizioni e i sequestri di tre computer, agende e documenti, potrebbe essere interrogata dagli inquirenti come testimone.
«Mi stupisce lo stupore di chi si scandalizza per interventi contro le fughe di notizie. Stiamo parlando di un fenomeno che tutti condannano», dice il vicepresidente del Csm, Michele Vietti. Spiega che Palazzo de’ Marescialli «ha già fatto il suo dovere», informando la magistratura che «ha assunto le sue iniziative». Ora, da «spettatore» non anticipa «giudizi né tantomeno condanne». Solo conclusa l’inchiesta, si potranno attivare «gli strumenti che il nostro regolamento predispone». Forse qualcuno sperava che Brigandì facesse subito un passo indietro, ma lui non ci pensa proprio. E un altro laico del Csm, Filiberto Palumbo (Pdl), gli dà ragione. «Dimettersi può sembrare un atto di ammissione di responsabilità, semmai un’autosospensione di qualche giorno in attesa di un chiarimento». Perché, per Palumbo, «i fatti non sembrano così gravi, faccio uno sforzo nell’intravvedere condotte penalmente rilevanti.

In che si è concretizzato il reato di abuso d’ufficio? Quanto alla violazione della privacy, all’epoca dei fatti gli atti dei procedimenti disciplinari erano segretati, ma oggi non lo sono più». Insomma, non sarebbe corretto se il Csm sospendesse Brigandì, perché c’è la presunzione d’innocenza.

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