Che ipocrisia indignarsi per le manette al potente

Fatta salva la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, il caso di Dominique Strauss-Kahn si presta a un numero sterminato di considerazioni. Ne sceglieremo qualcuna, a partire dallo sdegno che ha suscitato in molti media e cittadini francesi l’immagine del loro concittadino portato via - ammanettato - dalla polizia americana.
A nessuno piace vedere un uomo in manette, come una bestia incatenata, tanto più se non è un killer pazzo e sanguinario. Ma bisogna anche rispettare le leggi di un Paese democratico, con la principale - se non unica - eccezione della pena di morte. Noi rispettiamo e dobbiamo rispettare, sia pure controvoglia, le leggi francesi che proteggono terroristi già condannati per pluriomicidio dalla nostra giustizia. Di più: non mi sembra che Oltralpe si siano mai versati grandi pianti sulle immagini di ragazzi scuri di pelle trascinati fuori dai ghetti in manette, il viso segnato da una robusta scarica di botte preparatorie.
Certo, i francesi si sono sempre dimostrati molto più tolleranti degli americani (e di noi italiani) sulle vicende sessuali più o meno anomale - per eccesso - dei loro potenti di turno. I giornali di tutto il mondo, in questi giorni, sono pieni di rievocazioni sulle imprese sessuali di Mitterand e Giscard d’Estaing, sulle quali si socchiudevano occhi compiaciuti, se non fieri. Sarà che i francesi, più di tutti gli altri popoli - accomunati dalla stessa convinzione - credono di essere i campioni mondiali del sesso.
Fa parte del patrimonio genetico comune anche il complottismo, per cui Strauss-Kahn sarebbe vittima di una diabolica macchinazione per escluderlo dalla candidatura alle prossime elezioni presidenziali francesi. Carla Bruni travestita da cameriera newyorkese, insomma. Ma via.
Abbiamo piuttosto a che fare con un uomo malato di sesso: fino all’uso della violenza, che di quella patologia è il limite invalicabile, almeno da quando l’essere umano si è liberato dalla gabbia dei poteri assoluti. Per millenni, il potente di turno ha sempre avuto libero accesso alle grazie delle suddite. Se è probabilmente una leggenda lo Jus primae noctis che nel Medioevo permetteva ai signori di prendere il posto del marito/servo della gleba la prima notte di matrimonio, è vero, verissimo, che i signori si prendevano con le donne di tutti libertà proibite agli altri mortali. In Francia lo chiamavano, più propriamente, «droit du seigneur», diritto del signore.
Strauss-Khan sapeva, in quella camera d’albergo, di non esercitare un diritto. Ma era sicuro di poter esercitare un potere - il suo - incomparabilmente più forte del diritto di una cameriera. Figurarsi: una cameriera che probabilmente non guadagnava, in un mese a pulire cessi, neppure quanto gli uffici del megaburocrate pagavano per una sua notte in albergo, 3.000 dollari. Khan, chiamiamolo così, poteva usare altre armi. Il fascino del potere, per esempio, o le promesse di un uomo quasi onnipotente. Se proprio non avesse voluto fare fatica, poco gli sarebbe costato, per le sue tasche, tentare l’offerta di dieci o ventimila dollari; cosa vuoi che siano per togliersi lo sfizio di una donna che lo arrapava o di un momento di sessualità incontenibile.
No. Il suo piacere vero era non dare niente in cambio, prendere come uno sparviero, di rapina e di forza. Era il piacere animalesco e brutale di imporre, insieme a una sua presunta maggiore forza fisica (non ce l’ha mica tanto fatta), una sua certissima maggiore forza sociale. Sicuro di farla franca di fronte all'irrilevante peso sociale dell'altra: una pulce salta o viene schiacciata. E proprio per questo, se i giudici americani lo riconosceranno colpevole, saranno inflessibili. Come mi auguro, e non soltanto per un senso di giustizia rispetto alla vittima.
È che vittime siamo tutti. I giornali di ieri (come quelli di oggi) sono pieni di tabelle e cartine per illustrare la gravità della crisi economica, i Paesi a rischio, i pericoli che incombono su di noi. E su quanto gli impeti criminalsatireschi di Khan li aumentino.


Proprio giorni fa, sul Giornale, proponevo di estendere le pratiche dei test attitudinali dagli studenti ai professori. È, ovviamente, il caso di considerare sul serio la possibilità di renderli obbligatori anche per i potenti e i potentissimi della terra.
www.giordanobrunoguerri.it

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