Dieci anni sono volati via, senza che il ricordo di quei momenti ne esca smorzato, o diluito dal tempo. Lo zelo della memoria e il fervore del rimpianto sintrecciano e lintreccio mantiene, dopo due lustri, la sua nitidezza - e non alludo tanto al momento in cui, era l11 gennaio del 1999, Fabrizio De André si congedò da noi, quanto alla percezione definitiva che, di quella perdita, ci arrivò dal funerale, avvenuto due giorni dopo: occorre tempo, si sa, per arrendersi ai lutti, assimilarne lenormità e prenderne finalmente atto.
Fu in una chiesa di Genova, in una mattinata di dolore collettivo, di straziata accettazione e di gente a migliaia: solo quando vedemmo il furgone funebre sparire lontano, si capì interamente che lui se nera andato e non lavremmo più rivisto. Ma si capì anche che non lavremmo perso: per la renitenza che i poeti oppongono alla morte, e che è naturale conseguenza del bisogno che noi abbiamo di essi, Fabrizio De André non ci avrebbe mai fatto mancare, lo sentimmo, il balsamo amico e il fecondo veleno della sua poesia. Ricordo che di fronte a quella bara che se ne andava, Beppe Grillo ed io ci abbracciammo, per una volta violando il vecchio riserbo di noi liguri, refrattari alle effusioni: tanto lemozione soverchiava tutto e tutti.
Dieci anni dopo, stupisce ma pure conforta il persistere, intatto, di quellemozione. Quel sentirci, sì, impotenti dinanzi alla malevolenza dun destino che ci rubò un fratello e un grande artista, ma certi che lui, nonostante tutto, non ci è mai venuto meno. Sicché l'assenza sè fatta nel contempo presenza: un ossimoro allincontrario, in cui gli opposti si sovrappongono e, misteriosamente, si compenetrano.
Dunque, per dieci anni, ci siamo sentiti soli, ma in compagnia. Soli ma non abbandonati. Tanto la poesia di De André riesce a conciliare le tracce del tempo in cui nacque con i connotati delloggi: per quella virtù profetica che Pier Paolo Pasolini riconosceva, da Poeta, ai poeti, e che si svela, per esempio, nelle immagini sconvolgenti della Domenica delle salme, scritta al tramonto degli anni Ottanta ma presago ritratto di questi primi anni Duemila, con le inerenti insicurezze, nefandezze, eclissi delletica, perversioni della politica.
Anche per questo limmagine di Fabrizio De André non stinge con gli anni, né sattutisce quellaffetto nutrito di gratitudine, che un pubblico sempre più folto gli va tributando: fatto davvero insolito, in un mondo governato dalleffimero.
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