Le cifre spese per origliare il Cav sono folli. Ma vere

Caro Granzotto, le scrivo perché solo lei può dissipare le nebbie che avvolgono i numeri del Ruby-gate. Sento fare le cifre più disparate, mille persone impiegate, 300mila euro e via di questo passo, però in un Paese che non ha i soldi per mettere la benzina nelle auto della polizia penso che far chiarezza sulle cifre sia una cosa importante. La ringrazio comunque suo affezionato.

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I dati sulle intercettazioni non mentono, caro Bellia, essendo stati forniti dal ministero di Grazia e Giustizia. La Procura di Milano ha sborsato, per quel servizio, 52 milioni e mezzo. Per il solo il «caso Ruby» ha accumulato - tra telefonate e sms - circa 100 mila intercettazioni. Parlando di spese, va aggiunto che a quei 52 milioni e mezzo si devono sommare anche i 73 milioni di debiti accumulati con enti, servizi e addetti all’ascolto e registrazione delle telefonate. Per avere dei termini di paragone, sappia che per lo stesso servizio la Procura romana ha speso 5 milioni e 200 mila euri. Quella palermitana, eppure impegnata nella lotta alla Mafia, 53 milioni, ovvero poco più di quella milanese impegnata, a sua volta, a dare la caccia a Silvio Berlusconi. Le persone intercettate risultano all’incirca 130 mila. Ma poiché è intercettato anche chi telefona a un soggetto indagato, si fa presto ad arrivare a mezzo milione di persone quotidianamente origliate. Parte della Magistratura e l’intera l’intellighenzia manettara ha naturalmente contestato queste cifre. Riferendosi alla media di telefonate fatte da un indagato - trenta al giorno - Marco Travaglio, ad esempio, se ne è uscito con un sarcastico: «Ma che, sono tutti maniaci del telefono?». Fare una trentina di telefonate al giorno è da maniaci? Secondo lei, caro Belli, quante ne farà Travaglio, da mane a sera? Tre? Quattro? L’argomento principe per ridimensionare il fenomeno riducendolo a poca cosa, è però questo: quando si parla di intercettazioni non bisogna riferirsi alle persone fisiche, ma alle utenze. Ergo, essendoci indagati che hanno più utenze, ovvero più telefoni, la cifra di 130mila intercettazioni va ridotta di molto. Anzi, di moltissimo. Bizantinismi, espedienti da azzeccagarbugli che non attenuano l’entità del fenomeno e cioè che di riffa o di raffa mezz’Italia è spiata (in italiano, spiare significa osservare attentamente e di nascosto il comportamento e l’attività altrui per scoprire, sapere qualcosa o anche solo per ricavarne indizi) dagli spioni in toga e tocco. I quali poi si lamentano che mancano le attrezzature, i computer o le fotocopiatrici, che mancano i cancellieri e altro personale. Bé, destinando solo un quarto della cifra che la Procura di Milano spende per le intercettazioni si potrebbero acquistare 8mila e seicento ottimi computer o 35mila eccellenti fotocopiatrici. Oppure assicurare lo stipendio a 5mila cancellieri. Lei, caro Bellia, ricorda che questo è un Paese che non trova i soldi per rifornire di benzina le auto della polizia. Sempre destinando alla bisogna un quarto di ciò che costano alla procura milanese le intercettazioni, si potrebbero assicurare al parco macchie delle forze dell’ordine 7 milioni di litri di benzina. Cinquecento e passa autocisterne.

Sono calcoli non arbitrari perché persiste il dubbio lecito che delle intercettazioni se ne faccia uso indiscriminato: le 100mila del «caso Ruby» sono commisurate all’ipotesi di reato? Erano davvero «assolutamente indispensabili» - come vorrebbe il Codice - per il proseguimento dell’indagine? Infine, possibile che fra i tanti turbamenti espressi dal Capo dello Stato nessuno riguardi l’enormità della spesa - che grava sul contribuente - per lo spionaggio, la permanente violazione della privacy di tanti cittadini non inquisiti e l’abituale pratica di far pervenire alla stampa amica i testi delle intercettazioni, comprese quelle che si riferiscono ai cittadini non inquisiti, eppure coperte dal segreto istruttorio?
Paolo Granzotto

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