«Ci hanno provato tre volte ad ammazzarlo. Ma lo zio Enrico. aveva la pelle dura, una fortuna sfacciata e un partigiano che gli salvò la vita». Giancarlo Camaiora la racconta come un aneddoto la storia dello zio Enrico che abitava a Santo Stefano Magra. Che non sera mai occupato di politica. Che nel 24 va in Argentina «a far fortuna». Apre un'officina in quella terra che gli emigranti seppero far produrre. La ruota gira, ingrana e l'officina funziona. «Nel 32 viene investito da un'auto a Buenos Aires. È gravissimo. Allospedale lo considerano spacciato e lo sistemano in un angolo della corsia. Linfermiere italiano che lo segue mica ci sta a vederlo morire così, lontano dalla patria e senza conforto. Comunica l'incidente al rappresentante del Fascio. Che si attiva perché riceva le cure necessarie. Enrico si rimette in sesto, torna in Italia e nel 38 si iscrive al partito fascista». Comincia da qui la sua storia «politica», che sa più di riconoscenza verso chi gli salvò la vita in terra straniera. Che lo schiera però dallaltra parte. Che lo trasforma in funambolo mentre la morte lo corteggia senza fretta.
Nel 45 a Santo Stefano gestisce un bar-alimentari. Sta lavorando quando riceve la notizia dell'arrivo degli alleati. «Molla il grembiule e scende a rotta di collo per vederli. Ma qualcuno gli urla dietro che sono partigiani. Enrico fa appena in tempo ad invertire la corsa e a salvarsi». Il fatto si ripete alla Spezia, «abitava in via Oldoini, vicino alla caserma ex sede delle brigate nere e poi presidio partigiano. Era abituato al passaggio di quei signori col fazzoletto rosso al collo, ma una sera un paio si presentano al portone del palazzo. Un vicino lo avvisa che sono partigiani di Santo Stefano e sono lì per lui. Anche questa volta riesce a scamparla». Due su due, alla faccia di quella fortuna che non bussa due volte. Che di nuovo perde il conto. Perché Enrico alla fine verrà arrestato, ma lepilogo è strabiliante: «Mio padre, badogliano, dopo un po di giorni che suo fratello era in galera, va alla questura. Non c'è una denuncia precisa, ne chiede la liberazione. In caso contrario si sarebbe rivolto agli inglesi. Gli dicono di tornare il mattino dopo, alle nove, a prenderselo». Quella sera stessa mentre i Camaiora sono seduti a tavola, qualcuno bussa con violenza. Il pane fermo a mezzaria e il boccone sulla forchetta. «Mio padre apre e si trova di fronte un giovane partigiano col mitra. Domani ammazziamo tuo fratello. Sappiamo che esce alle nove. Papà, allibito, chiese spiegazioni di quellavviso». E qui comincia unaltra storia dove prima di tutto cè l'uomo e cè la dignità che non si colorano di «rosso» o di «nero». Perché quel partigiano che stava salvando la vita a Enrico, non ha dimenticato che Enrico laveva già salvata a lui: «Un paio d'anni prima mio padre aveva una fabbrica di bibite che lasciò in mano allo zio. A fine stagione si presenta un ragazzo. Ha bisogno di lavorare». Enrico non ha intenzione di prenderlo, lattività ormai è al lumicino, ma cambia idea. «La mamma del ragazzo era gravemente ammalata e lui aveva assoluto bisogno di soldi. Lo zio lo mette a libro paga.
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