Coprifuoco, negozi chiusi e banche prese d’assalto

Tripoli La gente fa la fila davanti alle banche per ritirare 500 dinari, l’equivalente di 300 euro promessi dal colonnello ad ogni famiglia libica. Il problema è che nella capitale vive oltre un milione di persone. Per incassare il bonus bisogna mettersi in coda fin dalle prime ore del mattino. Se poi il libretto verde familiare non è in regola ti tocca tornare il giorno dopo. I libici pro regime sostengono orgogliosi che si tratta dei «dividendi della vendita del petrolio». In realtà il colonnello cerca di calmare gli animi rispetto all’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Per il primo giorno nella piazza Verde, al centro della città, sono spariti i piccoli gruppi di manifestanti che gridano «solo Allah, la Libia e Muammar» ogni volta che passa una telecamera. Gli spazzini stanno cercando di ripulire la capitale dall’immondizia prodotta dalle manifestazioni. Il palazzo centrale della sicurezza è ancora annerito dall’incendio appiccato dai rivoltosi, ma il problema quotidiano della popolazione è riempire la dispensa. Gran parte dei negozi sono chiusi. Soprattutto nei sobborghi di periferia si formano lunghe file davanti alle panetterie.
Il governo sostiene che le scuole sono aperte, anche se molti studenti restano tappati in casa. Non solo: la gente che ha manifestato contro Gheddafi non si fida di andare sul posto di lavoro.
Il problema maggiore è che tutti i cantieri hanno chiuso i battenti. Nell’edilizia, come in gran parte delle attività manuali, venivano impiegati gli immigrati, che sono in fuga terrorizzati dalla guerra civile. Chi scappa viene solitamente alleggerito ai posti di blocco di gran parte delle masserizie dalla milizie kataeb, i fedelissimi di Gheddafi.
L’aeroporto rimane un maleodorante caravanserraglio intasato da egiziani, algerini, tunisini, nigeriani che cercano disperatamente di imbarcarsi su un volo per lasciare il paese. Qualche inserviente tenta di dare una ripulita alle partenze, ma rimangono montagne di valige rotte, coperte usate per bivaccare nello scalo, bottiglie d’acqua prosciugate.
Nonostante la Libia sia un paese ricco di petrolio si formano da giorni delle code ai distributori. Di giorno la situazione sembra apparentemente tranquilla. Però il principale suk di Tripoli, a ridosso della piazza Verde, è completamente deserto. Si notano solo i poliziotti in borghese che sorvegliano i vicoli con le serrande abbassate. Nel desolato bazar non a caso l’unico negozio aperto vende valige per partire.
Nel pomeriggio le strade cominciano pian piano a svuotarsi ed il richiamo del muezzin per la preghiera della sera è una sorta di segnale dell’ufficioso coprifuoco. Di notte non circola nessuno a parte i kataeb di Gheddafi, che nei quartieri attorno alla città andrebbero a caccia di oppositori.

L’unica certezza è che ogni notte si sentono raffiche di mitra, più o meno intense. Nessuno sembra farci caso, ma anche le guide del ministero dell’informazione tengono pronto il kalashnikov per barricarsi in casa e difendere la famiglia.

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