LA CORRIDA, SAPORE DI BEI VECCHI TEMPI

Ci sono aspetti che ricorrono e si confermano anche in questa ultima edizione de La corrida (sabato su Canale 5, ore 21), e almeno uno che comincia ad insinuarsi come elemento di novità. Tra gli elementi inossidabili l'atmosfera del programma, quel suo essere «sagra popolare televisiva» indifferente al passare dei lustri, al cambiamento delle mode, con lo sguardo ironicamente perplesso del maestro Pregadio a scandire per primo la volontà di continuare ad essere gli stessi di sempre e il pubblico in sala imperterrito nel tributare ai concorrenti quella messe di fischi e applausi in libera uscita che caratterizzano fin dall'inizio La corrida (e piacerebbe vedere trasferito anche a certi pretenziosi programmi di intrattenimento questa democratica possibilità di esprimere dissenso per chi stona, delude, non si prepara a dovere). Proprio per la sua fedeltà alla tradizione la trasmissione di Gerry Scotti continua ad avere un consistente pubblico di fedelissimi che ne apprezzano l'ingenuo anacronismo, in cui tutto sembra appartenere immutabilmente a un mondo che si è fermato, fatto di schegge di repertorio che sono riuscite a sopravvivere alla vorticosa trasformazione del tessuto televisivo nazionale. In questo senso La corrida è rimasto l'ultimo avanposto della vecchia televisione, quella in cui i dilettanti erano davvero allo sbaraglio, senza arte né parte, sicuri di potersi esibire solo una volta e a prezzo di qualche legittimo, rumoroso pernacchio. Tutto questo prima che l'industria dell'intrattenimento facesse dei «dilettanti allo sbaraglio» un grosso business ad uso dei reality show, trasformando il dilettantismo televisivo in una professione, uno status alimentato da un rovesciamento di valori: è il non saper far niente che paga, interessa e viene ora sfruttato su scala seriale. Non è però semplice nemmeno per La corrida rimanere immune da quel cambiamento epocale che ha toccato lo stesso pubblico comune che si affaccia alla tv e vuole sempre più esibirsi, sfondare, diventarne protagonista. Non a caso si comincia a notare, in questa edizione, qualche concorrente più scafato di altri, fin troppo disinvolto, qualcuno che cerca di giocarsi la carta giusta per diventare «personaggio» passando magari per l'arena della Corrida come trampolino di lancio verso altri palcoscenici.

Si cominciano a intravedere concorrenti assai meno timidi, che sembrano essersi preparati un copione stravagante ad uso e consumo di qualche possibile ingaggio, magari in nuovi o vecchi reality. È l'unico rischio da cui La corrida deve guardarsi: evitare la corte dei cacciatori di gloria e restare l'unico luogo in cui i dilettanti rimangono tali.

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