Così Fioroni «promuove» nozionismo e burocrazia

Valentina Aprea*

Il ministro Fioroni ha ottenuto il primo semaforo verde al Senato sulla riforma degli esami di Stato. Ma perché riformare ancora una volta questi esami? Cosa colpisce l’opinione pubblica? Soprattutto, la composizione della commissione e l’alta percentuale di promossi, che fa pensare ad un esame non più serio.
Se volessimo valutare semplicemente le percentuali dei promossi, dovremmo dedurre che gli ultimi esami «seri» ci furono nel 1925. Infatti, in quell’anno, in piena dittatura fascista, che aveva introdotto questo tipo di esame, si registrò il 75 per cento di bocciati alla prima sessione d’esame. Da quel fatidico anno le cose sono andate sempre «migliorando» per quanto riguarda l’esito finale, con una progressione costante fino al 98 per cento di maturati dell’anno scolastico 2005/2006, ma con punte anche del 99,99 per cento negli anni di applicazione della legge 425/97 voluta dal ministro Berlinguer. Se poi, le novità consistono nella reintroduzione dello scrutinio di ammissione all’esame, nelle prove laboratoriali per gli istituti tecnici e professionali o nel raccordo tra scuola e università, il ministro Fioroni arriva tardi: queste disposizioni sono già legge, previste nel decreto n° 226/05, relativo al secondo ciclo di istruzione, la cui applicazione è stata sospesa dal governo. Quanto poi, al ritorno alla commissione mista d’esame, si tratta di uno schema già utilizzato, che non ha mutato, né risolto i problemi dell’esame di Stato, rivelandosi inefficace e costoso. Se invece la novità riguarda il fatto che per l’ammissione agli esami dovranno essere saldati tutti i debiti scolastici, allora siamo di fronte ad un rigore fasullo e demagogico. Puntare ad un maggior rigore nella valutazione scolastica è giusto ed è un obiettivo che è stato perseguito anche da noi. Ma come si può chiedere ad uno studente di non avere lacune nella preparazione, se per quattro anni non è stato obbligato a recuperare i debiti formativi?
Noi, al contrario, avevamo introdotto un articolato sistema di valutazione rigoroso e graduale, interno ed esterno, capace di registrare lungo tutto il percorso di studi i livelli di apprendimento degli studenti, con sbarramenti nei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi. Troviamo inaudito che il ministro decida di riconsegnare a se stesso e alla burocrazia ministeriale l’elaborazione e la scelta delle prove d’esame, caso unico in Europa. In realtà, la questione centrale non sta più in un problema di selezione fine a se stessa. Il vero problema, infatti, oggi è la qualità delle competenze possedute dagli studenti dopo 13 anni di scolarità, certificabili e spendibili per una efficace prosecuzione degli studi e per l’inserimento attivo nel mondo del lavoro. Dunque, l’unica riforma davvero necessaria è la certificazione delle competenze attraverso modalità oggettive e comparabili di valutazione esterna, come già avviene in Europa e in tutti i Paesi economicamente più avanzati e che vantano i migliori livelli di apprendimento.
La riforma voluta da Fioroni riporta indietro il sistema educativo, abrogando norme introdotte con la «riforma Moratti» come quelle che affidavano al nuovo istituto di valutazione (Invalsi), la responsabilità di garantire qualità e obiettività alle prove nazionali.

Scegliendo di mantenere la prerogativa delle stesse in ambito ministeriale il governo compie una scelta di restaurazione verso una totale autoreferenzialità, che è anche il segno di una grande sconfitta sul piano del riformismo e della modernizzazione del sistema.
*Deputato di Forza Italia

Membro commissione Cultura

della Camera

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