Sostiene Diego Della Valle, patron della Tods ma anche grande azionista delle Generali, di Mediobanca e della Rizzoli, che i direttori del Corriere della Sera, una volta che le deleghe vengono assegnate dal consiglio damministrazione, «bisogna lasciarli lavorare e sopportarli». Molto probabilmente si tratta di un refuso, mentre la parola giusta era «supportarli». O forse è stato un lapsus. Comunque pare un passaggio originale da cui partire, perché lintervista rilasciata ieri da Della Valle a Repubblica è uno di quegli eventi che nel campo dei cosiddetti poteri forti fa discutere e rivela due o tre cosette interessanti. Tanto più in una fase politica delicata come questa, nella quale gli umori dei grandi della finanza sono da interpretare per bene. E Della Valle è notoriamente vicino ai centristi, grande amico di Luca di Montezemolo, e di Enrico Mentana.
Il tema di partenza è appunto il Corriere, perché il suo direttore, Ferruccio De Bortoli, è finito nel mirino di alcuni tra i suoi 14 grandi soci (riuniti nel patto di sindacato che controlla il 65% della Rcs) per alcuni articoli critici nei confronti di questi stessi, come per esempio la Fiat. Ma non solo: hanno fatto clamore gli attacchi anche ad altri pezzi di sistema, come lEni di Paolo Scaroni. Quando succede questo, intorno al Corriere viene subito da chiedersi chi sono i mandanti, chi ha iniziato per primo, chi ha risposto per secondo, eccetera. Come se le colonne del primo quotidiano nazionale diventassero il terreno per la regolazione dei conti tra i grandi soci di cui sopra. Tra i quali ricordiamo Mediobanca, Fiat, Generali, Intesa, Tods, Pirelli, Ligresti. Banche e imprese. E in questo quadro, ogni movimento rilevante sarebbe sempre benedetto di un accordo di fondo tra i due grandi saggi della finanza: Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi, presidenti di Intesa e Generali. Lo stesso accordo che, meno di due anni fa, produsse la soluzione De Bortoli per sostituire Paolo Mieli. Ebbene: oggi Della Valle si schiera apertamente contro questa lettura. Affermando che non possono essere due «vecchietti arzilli» che decidono morte e miracoli in via Solferino. Influenzando, tra laltro, anche sistemi di pressione informativa parallela, per esempio via Internet. E questo perché la Rcs non è unazienda diversa dalla altre, e va gestita come le altre nei luoghi deputati, ossia nei consigli damministrazione. Segue (salvo lapsus) il sostegno a De Bortoli.
Ma perché Della Valle dice questo e lo dice oggi? In fondo egli non è estraneo a questo sistema di potere, né alle sue logiche. Viceversa non sarebbe presente nei santuari di Mediobanca, Generali ed Rcs. Parimenti, è sua facoltà esternare tali pensieri allinterno dei consigli stessi in cui siede. Mentre le dichiarazioni di questo tipo, se fatte in pubblico, risultano volutamente mirate a lanciare messaggi più complessi. Allora limpressione è che ci sia una strategia, perché il Della Valle di questo inizio decennio è una figura diversa e più forte del passato, che può provare ad alzare la posta e spezzare i vecchi equilibri con una sorta di «manifesto post bancario», nel quale si decreta la fine del potere, soprattutto personale, derivante dal sistema bancocentrico, a favore di chi i capitali ce li mette in proprio. Un manifesto che vede da un lato le banche ridimensionate dalla crisi finanziaria; dallaltro imprese come la Tods che proprio con la crisi è diventate una multinazionale del Lusso: i conti 2010 (fatturato in crescita del 10%) sono stati accolti dal mercato come assai meglio delle attese. Mentre il titolo è entrato nellindice FtseMib e Della Valle è da poco diventato il primo socio di Saks, negli Usa. Aggiungiamo il recente clamoroso successo delloperazione Colosseo, che verrà restaurato grazie ai 25 milioni della sponsorizzazione della Tods, e il cerchio si chiude.
Dunque lo «scarparo» non ce ne voglia per il nomignolo che da gran lavoratore pensiamo non lo offenda ci tiene a rimarcare che chi pensa di avere a che fare con un portatore dacqua, si sbaglia. Nelle scelte, nella gestione, nelle nomine, bisognerà fare i conti con lui. E non solo: nellintervista cè un passaggio che riguarda Giuseppe Rotelli (limprenditore ospedaliero che arriva al 10% di Rcs ma non siede nel patto), che «ha investito soldi suoi ed è giusto che stia nel cda», che suona come una chiamata alle armi.
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