«Crisi lunga, il 2008 è perso Ma qualcuno fa buoni affari»

Parla Roberto Quarta, l’italiano partner del fondo di private equity Clayton, Dubilier & Rice

da Milano

L’italiano lo parla ancora bene, Roberto Quarta. Ma l’accento tradisce i più di 40 anni che sono passati da quando, quindicenne, si è trasferito da Piacenza negli Usa. Dove, dopo scuole e master, è diventato uno dei 10 italiani più noti nel mondo industriale. Quarant’anni passati tra New York e Londra, al vertice di aziende di ingegneria e distribuzione. Fino all’ingresso nel 2001 nella grande finanza: partner di Clayton, Dubilier & Rice, il fondo di private equity partecipato anche dall’ex ceo di General Electric Jack Welch che in Italia controlla l’Italtel (di qui Quarta è presidente). Già, proprio il private equity, finito nel centro del mirino della crisi finanziaria di questi mesi: protagonista assoluto delle grandi operazioni fino a un anno fa, oggi fa i conti con i crac di Carlyle o Blackstone. Una crisi di sistema che Quarta, in questa intervista al Giornale, definisce senza mezzi termini «devastante».
Quanto durerà?
«Nessuno lo sa. Ma nel nostro settore si dice che il 2008 è ormai write-off: perso. Tuttavia la storia insegna che gli investimenti migliori sono quelli fatti in momenti come questi, tipo 1981, ’91 o 2001. Ma solo per chi può permetterselo».
Quando ha capito che il vento stava girando?
«A giugno dell’anno scorso, improvvisamente, ci siamo accorti che le banche avevano dei problemi. La liquidità, fino a quel momento copiosa, era sparita. E l’attività del private equity è cambiata radicalmente».
Vale a dire?
«Fino ad allora un fondo di private equity sceglieva una società, la studiava bene, e poi proponeva di acquistarla, in parte (25-30%) con equity, per il resto a debito. E qui intervenivano le banche, che sezionavano il debito in fasce di rischio, ma poi non se lo tenevano: lo rivendevano sul mercato. Questo tipo di attività marciava a gonfie vele da tre anni. Basti pensare che a fronte di una media di valutazione societaria pari a 4-5 volte l’ebitda di 7-8 anni fa, si era arrivati a multipli di 9-10 volte nel 2007. E basti ricordare che i cosiddetti "junk bond", cioè i vecchi titoli spazzatura, altro non erano diventati che attività "high yields": ad alto rendimento».
E poi?
«Circa un anno fa ha cominciato a scarseggiare la liquidità. Inizialmente a causa della bolla immobiliare, le banche hanno cominciato ad avere problemi e a non trovare più a chi vendere i debiti sul mercato. Il "leverged finance" è rimasto nelle loro mani e loro si sono trovate esposte al rischio».
In che misura?
«Si dice 200 miliardi di dollari, oggi 130 in euro».
Rischiate anche voi del fondo Clayton?
«Credo di no, perché bisogna fare una distinzione: noi facciamo private equity "puro". Significa che investiamo solo in operazioni di "leverage buy out" (lbo), cioè in società industriali che poi gestiamo. E guardiamo soprattutto al cash flow, necessario per ripagare il debito.

Si pensi che la percentuale di operazioni lbo che generano un default (fallimento) è nell’ordine dell’1,2%, contro il 5% calcolato per i bond societari. Altri fondi come i Blackstone o i Carlyle hanno invece avuto problemi perché investono in altre attività, come fondi hedge o distressed».

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