Il lavoro non c'è, ma c'è il carrozzone per trovarlo

Per risolvere l'emergenza nasce l'Anpal, agenzia senza fondi né personale

I dati della Cgia di Mestre confermano un'immagine dell'Italia che conosciamo da tempo: quella di un Paese in cui il lavoro manca e, spesso, neppure viene cercato. Se poi aggiungiamo che ogni volta che (...)

(...) si parla dell'economia italiana bisogna porre mente al pollo di Trilussa, è chiaro che soprattutto al Sud la situazione è da tempo più che preoccupante. La carenza di lavoro è terribile per i giovani che non possono costruirsi un futuro e per i padri (e le madri) di famiglia che non riescono a far fronte alle necessità basilari, ma si radica in un fallimento più generale: che è qualitativo prima che quantitativo.

Da tempo, infatti, abbiamo perso il senso autentico del lavoro e nemmeno il successo di un film come quello di Checco Zalone sembra avere aperto gli occhi di quanti ci governano. Perché non c'è nulla come il «posto» che ha ben poco a che fare con il lavoro vero, ed è proprio la moltiplicazione dei posti a impedirci di lavorare davvero. In primo luogo, avere un vero lavoro significa porsi al servizio degli altri. Per questo motivo, ogni lavoro è in qualche modo precario. Nemmeno la Apple può sapere se tra dieci anni esisterà ancora: tutto dipenderà dalla sua capacità di lavorare e, cioè, di soddisfare le nostre esigenze. Se dirigenza e dipendenti fanno il possibile per dare il meglio di sé, è anche perché sono consapevoli della necessità di dovere andare incontro ai sogni, ai bisogni e ai desideri del pubblico. Quando si ricorda il lavoro, come nell'occasione della festività di san Giuseppe e del 1° maggio, bisognerebbe allora festeggiare soprattutto questa attività proiettata verso l'altro, riconoscendone la natura. Il contrario del lavoro è proprio il «posto», una forma di parassitismo generalizzato: un'egoistica pretesa di sicurezza il cui prezzo è scaricato su quei molti che, entro tale economia altamente statalizzata, non trovano opportunità a causa degli alti oneri che gravano su lavoratori e imprese.

Dobbiamo dunque tornare a guardare al lavoro tenendo in considerazione l'uomo nella sua dignità. Benché questa formula sia in genere utilizzata da demagoghi di ogni tipo al fine di limitare l'autonomia contrattuale e costruire un sistema sempre più burocratizzato, non si può avere una vita dignitosa senza il riconoscimento della libertà individuale e della capacità di intraprendere. In un celebre passo della Teoria generale John Maynard Keynes parla dell'opportunità, in talune circostanze, di finanziare qualcuno che scavi buche e le ricopra. Abbiamo lì una spia di come lo statalismo dell'econometria novecentesca abbia perduto quel senso dell'operare umano che, invece, era ben chiaro nell'invito paolino: «Chi non vuole lavorare, neppure mangi».

E san Paolo ci aiuta a comprendere che non ci può essere lavoro senza una forte attenzione al prossimo: dove trionfano le mistificazioni volte soltanto a giustificare l'aggressione di alcuni ai danni di altri. Per tornare a essere davvero lavoratori e quindi proiettati verso l'altro, abbiamo bisogno di allargare gli spazi di libertà. Non c'è altra strada.

Carlo Lottieri

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