di Marcello Simoni
Anno del Signore 1534.
Una notte senza luna, sul mare di Toscana.
Il monaco si chinò per raccogliere il pugnale scivolato sull'assito del ponte, poi si rialzò in fretta e corse barcollando verso poppa, per non restare coinvolto nello scontro che infuriava ai piedi dell'albero di maestra.
I pirati turchi avevano approfittato dell'oscurità per arrembare la galea. Se voleva salvarsi doveva assolutamente calarsi in mare, ma prima di raggiungere la scialuppa si accorse di avere un uomo alle calcagna. Lo vide uscire dalle tenebre, indifferente al violento oscillare della nave, con una scimitarra in una mano e una lanterna nell'altra. Non gli parve di stazza troppo robusta, tuttavia qualcosa nel suo portamento lo indusse a indietreggiare.
Non sono all'altezza, si disse, provando il bruciore della vergogna. Fino ad allora era sempre riuscito a evitare simili pericoli, benché fosse preparato all'eventualità, e come un lampo nella tempesta sentì i precetti del suo maestro attraversargli la mente. Mai esitare dinanzi al nemico. Il monaco annuì tra sé, valutando se uno sguardo deciso e una voce salda fossero sufficienti a piegare un animo feroce, ma temette che l'oscurità e il fragore della burrasca avrebbero vanificato l'uno e l'altra.
D'un tratto avvertì l'incombere dell'inseguitore e capì di non avere scelta. Doveva battersi, come stava facendo chiunque altro a bordo di quella dannata galea. Tuttavia non fu la paura a fargli tremare i polsi, bensì la consapevolezza di cosa sarebbe accaduto se fosse morto. La sua vita era votata a proteggere un segreto antichissimo. Un segreto che non avrebbe mai dovuto essere scoperto.
In nome di quel segreto, trovò il coraggio di tendere il pugnale in avanti per sfidare l'inseguitore. Ne scorse l'ampio turbante, poi il volto privo di un occhio e la barba corvina che si apriva a ventaglio sotto il mento. Aveva il torace protetto da un corsaletto lamellato d'oro, il resto del corpo abbigliato da vesti pregiate. Non si trattava di un comune pirata.
«Abbassate quell'arma», intimò il turco con voce cavernosa, «o ve la toglierò io stesso, insieme alla mano che la brandisce».
Il monaco sentì la sua voce rimbombare nel petto, ma accolse la minaccia senza tradire emozioni. «Troverete maggior resistenza di quanta ne immaginiate!», e con un balzo improvviso tentò un affondo.
Il pirata si limitò a spostarsi di lato, mandandolo a terra con uno sgambetto. Lo guardò ruzzolare sull'assito, il pugnale finito chissà dove, poi si avvicinò sollevando la lanterna. «L'ardimento non basta», ghignò. «E tuttavia, per quel che vale, avete ottenuto il mio rispetto».
«Ebbene, uccidetemi!», disse il monaco, lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento sull'umiliazione. «Cosa aspettate?».
Con sua grande sorpresa, il pirata rifoderò la scimitarra e si chinò su di lui, afferrandogli un braccio per aiutarlo a rialzarsi. «Non sono qui per versare il vostro sangue», rivelò, «ma per conoscere il vostro segreto». Il suo tono si era fatto serio, quasi confidenziale.
Il monaco ebbe il sentore di potersi fidare, ma volle dubitare di quella sensazione. «Io non ho segreti», sibilò, divincolandosi.
Il turco scoppiò in una seconda risata. «L'unico monachus peregrinus a bordo di una galea del Papa», e gli batté l'indice sul petto, «pretende di non custodire segreti?». Portò la mano all'elsa.
«Sciogliete la lingua, so bene cosa nascondete».
«Giammai!».
L'unico occhio del pirata si strinse. «Preferite dunque confessare alla confraternita dei Nascosti?».
A quelle parole, il monaco si dimenticò della rabbia e lo fissò incredulo.
Nessun uomo comune conosceva quel nome. Nessuno! E i pochi eletti che sapevano cosa significasse, lo pronunciavano con timore reverenziale. «Come fate a...».
«Dove credevate vi stesse portando questa galea?», ribatté il pirata, indicando l'insegna con le chiavi di Pietro in cima al pennone.
«A Roma, certo, ma non dal pontefice».
«Mi è stata offerta protezione», balbettò il monaco, sempre più sbalordito.
L'uomo scosse il capo, lasciando trapelare una punta di delusione. «Non avete ancora compreso? Vi hanno ingannato! In verità siete atteso nelle segrete dei Nascosti, dove troverete soltanto catene e tormenti». Allungando il braccio con uno scatto, gli afferrò il bavero e lo trasse a sé, avvicinando il viso al suo. «Sanno del diario, capite? Il diario del templare! Non potete permettere che cada in loro possesso».
Una fitta al cuore lo fece trasalire. «Come può un uomo d'arme... un turco... essere al corrente di simili questioni?».
Il pirata si guardò alle spalle, per sincerarsi di non essere minacciato da pericoli imminenti. Lo scontro sul ponte continuava a protrarsi senza quartiere, ma pareva che nessuno, per il momento, facesse caso a loro. «Conosco il vostro segreto, ve l'ho detto», ammise, lasciandolo libero di muoversi. «Lo conosco intimamente, a essere sinceri. So del Rex Deus e pure della Loggia dei senza nome che lo custodisce da secoli. Voi siete l'ultimo di loro».
Ormai il monaco era ben oltre la sorpresa, ma si impose di mantenersi lucido. Non sarebbe stato certo uno sciacallo venuto dal mare a distoglierlo dal suo sacro compito, qualsiasi cosa avesse in mente di raccontargli sotto la sferza del vento salmastro. «Allora saprete anche che sono pronto a morire pur di tenere fede al segreto», esclamò. «Poiché nessuno è degno di conoscerlo».
«Nessuno, tranne i legittimi eredi».
«Parlate di cose arcane.
«Il simbolo, vorrete dire», ribatté il turco, senza esitazione. «È uno soltanto e corrisponde al serpente coronato. Il serpente che liberò Adamo, mostrandogli la via della conoscenza del bene e del male».
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