Tra i cadaveri dal volto tumefatto e gli inchini rituali dei parenti

Pubblichiamo qui uno stralcio di Zona proibita di William T. Vollmann: "Quante di queste storie siete disposti ad ascoltare?"

Tra i cadaveri dal volto tumefatto e gli inchini rituali dei parenti

Pubblichiamo qui uno stralcio di Zona proibita (Mondadori, pagg. 124, euro 10) di William T. Vollmann.

Quante di queste storie siete disposti ad ascoltare? Ne ho raccolte in quantità; sono tutte molto simili, sotto quel particolare aspetto che spinge i giornalisti ad andarne in cerca, proprio co­me i cadaveri dall’espressione sofferente, tumefatti e con la fronte coperta di lividi, le cui immagini ci stanno di fronte sulla cera­ta bl­u mossa dal vento nell’obitorio tempo­raneo di Ishinomaki:l’espressione che as­sumono dipende molto da come è inclina­ta la testa. I sopravvissuti che li vedono mantengono la calma, nella migliore tradi­zione giapponese, concedendosi l’un l’al­tro, con un educato «Hai, domo!», la prece­denza e una migliore visuale su quegli orri­di volti, i cui occhi solitamente sono chiusi. Una donna stava spiegando a un’altra: «Sono venuta a cercare mia suocera, ma da­to che le facce sono tumefatte è difficile, e ho dato un numero sbagliato; per questo non sono riuscita a identificarla subito...».

Sul lato opposto del lungo rettangolo as­solato, unsacerdotesuonavauncampanel­l­o e un fotografo guardava un cuscino di fio­ri donati da qualcuno. I parenti facevano i loro inchini rituali; le fiammelle delle can­dele guizzavano. Il sacerdote s’inchinò.La gola mi doleva per via della polvere.

Spinto dal desiderio di sapere, chiesi in­formazioni a un poliziotto, il quale mi ri­mandòalsuosuperiore, chenonpotevafa­re nulla senza il grande capo; quest’ultimo, quando gli chiesi quante persone fossero morte a Ishinomaki, mi diede una risposta inoppugnabile: «Il nostro orientamento è di non rispondere a domande sulle cifre». Mi inchinai e lo ringraziai, dicendogli che in tal caso non avevo altre domande; arros­sendo, fece un inchino profondo e si scusò per avermi fatto aspettare.

Lasciamo perciò temporaneamente ri­posare i racconti luttuosi con i loro occhi chiusi (i bulldozer che scavano nella terra altre lunghe e strette trincee per i cadaveri, venti corpi per fila, tre cimiteri provvisori a Ishinomaki, e una lunga schiera verde di soldati delle forze di autodifesa divisi in due gruppi per andare a forzare gli edifici in cerca di corpi senza vita) e consideriamo il significato che possiamo trovarvi, ammes­so che ve ne sia uno. A questo riguardo, per­mettetemi di tornare dalla madre di Takehiro, la signora Utsumi Yoshie.

«Quale lezione trae, se è possibile trarne, da questo evento?» le domandai. «L’11 marzo è finito qualcosa. Ho l’impressione che sia cominciato qualcosa di diverso. Non abbiamo mai sperimentato la perdita di tutto in modo tanto estremo.L’insegna­mento »disse ridendo«è di tenere le cose di valore al piano superiore!» «La vostra vita è destinata a peggiora­re? ». «Io, ovviamente, credo che migliore­rà » rispose, seduta con me nel sudicio relit­to che era la sua casa, con oggetti distrutti in ogni dove. «Perché?». «Non saprei dire. Dal trascorrere della vita quotidiana nasce­rà un nuovo senso del valore. Se non la si pensa così, non si va avanti».

Le dissi quanto considerassi coraggiosi e forti lei e tutti gli altri, e lei mi raccontò che per un certo periodo aveva preso lezioni di koto, uno strumento tradizionale a corde le cui note ho avuto il privilegio di ascoltare nelle intime sale da tè di Kyoto e Kanazawa: note lente, sommesse e (per me) malinco­niche, che attraverso antiche melodie evo­cavano sfocati volti spettrali. Spero di non dimenticare mai l’impressione che ne eb­bi in quella piccola camera a Gion quando l’adorabile e anziana geisha Kofumi-san danzò la Canzone dei capelli neri , a cui Kawabata e Tanizaki fanno riferimento nei loro romanzi. Fui lieto che anche la signora Utsumi conoscesse e avesse imparato a suonare quel brano, la cui sola menzione bastò a strapparle un pallido sorriso.

Per un effimero istante tornammo entrambi a vivere nel Giappone del 10 marzo 2011, il giorno prima che Ishinomaki si guadagnas­se l’attenzione dei notiziari.

Copyright © 2011 by William T. Vollmann © 2012 Arnoldo Mondadori Editore

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