D’Alema vittima del «fuoco amico»

Fabrizio Cicchitto *

Ancora una volta politica-finanza-editoria-gestione della giustizia sono strettamente intrecciati. Torneremo sugli aspetti di fondo dello scontro finanziario-editoriale che si è svolto tra l’establishment finanziario e la cordata dei «furbetti».
In questa occasione vogliamo piuttosto analizzare alcuni aspetti politici di tutta la vicenda. È fuori dubbio che buona parte dell’establishment finanziario-editoriale è schierato col centrosinistra. Siamo arrivati al punto del tutto inusitato che i principali banchieri (Passera, Profumo, Bazoli) sono andati a votare per Prodi alle primarie. Fra l’altro ciò dimostra che la Casa delle Libertà - arrivata miracolosamente al governo nel 2001 avendo contro tutti - non è riuscita in questi cinque anni a modificare questo stato di cose. È chiaro, però, che l’establishment non si sta schierando «gratuitamente» nel centrosinistra. È appena agli inizi il tentativo di operare una complessa operazione di ristrutturazione del sistema politico che non esclude, ipoteticamente, qualche settore del centrodestra per neutralizzare il peso eccessivo dell’estrema sinistra (Pdci, Verdi, Rifondazione Comunista). Oggi l’epicentro dello scontro è nel centrosinistra. Il nocciolo del problema sta nella costruzione del partito democratico.
I suoi termini di fondo sono stati espressi sinteticamente da De Benedetti che ha dichiarato di accettare transitoriamente Prodi come «amministratore del condominio», ma di non riconoscergli la leadership. Secondo De Benedetti in tempi medi la leadership del futuro partito democratico dovrà essere quella di Veltroni e di Rutelli, cioè dei personaggi politici più disancorati dal partito post-comunista e dal partito post-democristiano, cioè dai Ds e dai Popolari. Il disegno è in continuità con quello che nel ’92-94 ha portato alla distruzione dei cinque tradizionali partiti di governo e che ha ristrutturato profondamente il centrodestra. L’obiettivo è quello di costruire un nuovo soggetto politico che non sia né post-comunista, né socialdemocratico, né cattolico-sociale ma che sia fondato su quella linea tecnocratica che ha portato all’accelerazione parossistica, e socialmente quasi catastrofica, dell’unificazione monetaria dell’euro, che combina insieme ultraliberismo e concertazione neocorporativa, che si ispira al revisionismo elitario di Eugenio Scalfari, che punta all’egemonia in politica e in economia di una rete costituita da un gruppo finanziario-editoriale, da alcune banche, da pochi grandi gruppi economici, da alcune società internazionali di rating e di mediazione fra cui, in primis, la Goldman Sachs.
In seguito a questo disegno i Ds sono nel mirino del «fuoco amico». In primo luogo il bersaglio è Massimo D’Alema. È un paradosso, ma per una parte (quella del rapporto tra politica-economia, non per quella che riguarda la difesa del garantismo e lo Stato di diritto) D’Alema oggi si trova a vivere una similitudine significativa con Bettino Craxi. I Ds nel ’92-94, per salvarsi da Tangentopoli, hanno svolto il ruolo degli apprendisti stregoni che hanno dato il via libera al potere dei giudici e di alcuni grandi gruppi economici. Oggi, a loro volta, essendo titolari di un forte potere politico che potrebbe aumentare qualora il centrosinistra nella sua attuale configurazione vincesse le elezioni, essi sono nel mirino proprio delle «potenze giudiziarie» e finanziarie con le quali si sono alleati nel corso di tutti questi anni.
Perché D’Alema è nel mirino? Perché il presidente dei Ds è portatore di un disegno egemonico a tre stadi. Il primo stadio è quello di consolidare l’egemonia dei Ds nell’ambito del centrosinistra sulla Margherita da un lato e sull’estrema sinistra dall’altro. Il secondo stadio implica l’egemonia del potere politico sul potere economico-finanziario. Il terzo stadio è rappresentato dal progetto di un partito democratico che rappresenti l’incontro tra due culture e due strutture partitiche e l’emarginazione degli «ulivisti» organici alla Parisi e lo stop al disegno di De Benedetti. D’Alema, che è un uomo molto pratico, ha anche cercato in questi anni di dare le gambe economico-finanziarie a questo progetto, e per questo ha stabilito rapporti, contro la galassia del nord, con una variopinta Armata Brancaleone della quale il punto forte era l’Unipol di Consorte (ma nel quale come minimo rientravano organicamente Gnutti e Colaninno). Inoltre è evidente l’esistenza di un asse tra Consorte e Fiorani. Lo stillicidio di violazioni del segreto istruttorio di cui è vittima anche D’Alema, in parallelo con alcuni esponenti del centrodestra, rientra in questa guerra senza esclusione di colpi. Il disegno di alcune forze insieme politiche ed economiche (per fare dei nomi: Rutelli, Parisi, Enrico Letta, Veltroni, Bassanini, De Benedetti, Della Valle) è quello di realizzare due operazioni contemporanee: da un lato sconfiggere a tutti i costi Berlusconi (e «a tutti i costi» vuol dire il ricorso a tutti i mezzi possibili e immaginabili) e dall’altro liquidare D’Alema e tutta quell’area diessina che per buone e anche per cattive ragioni vuole mantenere la sua identità e anche la sua rete economica-finanziaria.
Ancora una volta in questa partita il circo mediatico-giudiziario ha un ruolo fondamentale.

L’asse Paolo Mieli-De Benedetti-Della Valle-Guido Rossi-Francesco Greco può svolgere un ruolo decisivo in senso «rivoluzionario» nei confronti degli equilibri democratici esistenti nel nostro Paese. Ciò vuol dire che stiamo andando incontro non ad uno, ma a due scontri politici: quello fra la Casa delle Libertà e l’Unione e quello all’interno del centrosinistra.
* vicecoordinatore nazionale Forza Italia

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