Disastro «Asia», non pulisce e perde 60 milioni in due anni

Ma che ci pensino da soli e se ne riparli quando avranno risolto qualcosa. Questo è quello che verrebbe da dire di fronte alle ultime notizie che giungono da Napoli in materia di munnezza.
Mentre i militari, pagati da tutti gli italiani con le tasse, collaboravano, magari lontano da casa, durante le festività di Natale, alla pulizia della città, uno spazzino ogni cinque si è dato malato (pare ci sia dietro una forma di protesta contro la ditta appaltatrice). Dal cassonetto direttamente a letto. E degli italiani che pagano non avendo né colpa né peccato, dell'impegno dei militari che fanno quello che non sarebbero tenuti a fare, di quello del governo nazionale che già troppe volte ha dovuto mettere pezze a questa situazione chissenefrega. Malattia di gruppo, la munnezza può attendere. Se ne parla dopo Natale, la settimana prossima, il mese prossimo.
E poi si dice anche che al Sud c'è la maggiore percentuale di disoccupazione giovanile. Certo, in queste condizioni, per trovare un imprenditore che dà lavoro occorre andarlo a cercare tra qualche congregazione di missionari e poi, forse, dopo poco, fuggirebbe anche lui, pur ispirato dai migliori intenti togliendosi la munnezza dai calzari come dice anche il Vangelo, o giù di lì.
Prima di Natale ci fu un assaggio. Allora gli spazzini a letto ci rimasero per sciopero, che è una malattia anche quella però italiana, non attribuibile solo agli spazzini napoletani. Naturalmente tutto si svolse fuori della legalità: niente preavviso, niente informazioni sulla durata dello sciopero e sulle ore che sarebbero state scioperate. Tutto fuori della legge, tutti fatto da napoletani, tutto - alla fine - contro Napoli. Non ci risulta che ci siano state sanzioni e, probabilmente, molti di quelli scioperanti poi si sono ammalati: lo sciopero li aveva stressati e, alla fine, hanno capitolato. Allora c'era un problema di pagamento degli stipendi: la società veneta appaltatrice - sembra - i soldi li aveva presi ma erano evaporati. Ma il Comune dov'era? Dormiva? Non c'era modo di risolvere il problema di 350 stipendi di novembre tredicesima compresa? Con tutto l'impegno nazionale che è stato profuso, in molti casi supplendo alle inefficienze locali (Comune e Regione in particolar modo), non è possibile neanche sperare che almeno questi problemi possano essere risolti localmente, senza che divengano il solito caso nazionale dei poveri lavoratori del Sud senza stipendio? Niente contro questi lavoratori ma l'interlocutore per loro non può essere sempre e comunque l'Italia. I loro interlocutori sono Napoli e la Campania: lì ci sono le istituzioni dalle quali esigere una risposta. Non a Roma.
E ora? Ancora? L'influenza di gruppo da mancate promesse di assunzione può passare ancora una volta sotto silenzio? Anche qui non può essere fatta chiarezza a livello locale, tra istituzioni e ditte appaltatrici? Ci sono diritti violati? C'è la magistratura. Non ci sono diritti violati? Ci sono le ispezioni sulle assenze dei lavoratori. Roma non serve.
La questione non è se essere o no razzisti, antimeridionalisti, padani e robe del genere, il problema è se ci sia un'alternativa valida, di fronte al perseverare di inefficienze così incancrenite, a quella di lasciare che ognuno si risolva i problemi da solo dovendolo - tra l'altro - fare.
In Inghilterra c'è una legge che aiuta i disoccupati a cercare un lavoro ma dopo un certo numero di rifiuti dei lavori offerti l'aiuto decade per sempre.

Forse occorrerebbe iniziare ad agire così in molti altri campi, non ultimo quello degli aiuti alle comunità locali. Non si può pensare che intervenga sempre qualcuno: occorre che ci sia un limite quantitativo oltre il quale ognuno va lasciato a se stesso. Questo limite Napoli l'ha già superato varie volte.

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