E Banchero si trovò da Pieve a Calatafimi

E Banchero si trovò da Pieve a Calatafimi

Garibaldi e i suoi mille sono sempre stati visti come eroi purissimi, mossi da alti ideali. In un racconto romanzato (ma neppure troppo, come dice l’autore stesso) viene riletta l’impresa delle «camicie rosse» attraverso l’esperienza diretta di un garibaldino di Pieve Ligure. Con qualche licenza.

Da diversi anni mi sono trasferito, ed abito, a Pieve Ligure. Esattamente a Pieve Alta.
Quassù, dalla piazza principale (ove termina via Roma che vi sale dalla sottostante via Aurelia), più in alto, ove si trova la Chiesa Pievana, si snoda, verso ovest, una simpatica passeggiata a viottolo, in parte asfaltata, che, in continui sali e scendi tra gli ulivi, il verde perenne e le margheritine, anche a gennaio, raggiunge la frazione di San Bernardo, belvedere che svetta sopra Bogliasco.
A circa la metà della passeggiata, si incontra un gruppetto di case contadine di assai vecchia data: è denominata frazione Migone. Sulla facciata di una di queste case, una lapide marmorea segnala «Qui nacque e visse Emanuele Banchero, volontario garibaldino».
Passo spesso, da quelle parti e, sovente, mi sono chiesto cosa possa essere successo, per cui un abitante di quella, allora, assai sperduta frazione sulla collina, si venne a ritrovare col contingente di uomini che Garibaldi portò a combattere in Sicilia.
Dubbio il fatto che fossero stati mandati dai reclutatori a battere le poche e sparse frazione di queste colline... Pertanto, con la fantasia, ho ricostruito una storia di quello che potrebbe essere successo. Forse non fu proprio così, ma, in certi dettagli, ritengo di averci azzeccato.
Dunque, pare che il nostro Banchero (scapolo), vivesse in quella casa, lavorando un paio di magri campicelli (patate, grano turco), un orto a cavoli e insalata, più alcune galline e conigli. Ma la sua vera risorsa era rappresentata da un discreto appezzamento di ulivi. Il Banchero ne traeva, annualmente, quintali di frutti che, portati al «macino», davano olio pregiato nella classica misura di: 10 kg. di ulive = 1 litro di olio.
Il prezioso condimento, venduto in parte direttamente, in parte tramite il «frantoio», permetteva al Banchero di provvedere a tutte le altre sue necessità campando alla meglio.
Ma quell'anno la «malatta delle piante» aveva divorato tutti i frutti. Nulla da portare al frantoio: ricavo, zero. Si preannunciava un inverno gramo ed il Banchero pensava che (come già altre volte era capitato) avrebbe dovuto scendere in città a cercare un lavoro qualsiasi. Il che significava, ogni giorno una scarpinata di centinaia di scalini in viottolo, per raggiungere il treno a Bogliasco. Ed, ogni sera, rifare lo stesso percorso ma in salita e, magari col vento e con la pioggia... Una vera disdetta!
Mentre, così, stava meditando sulle sue disgrazie, venne a trovarlo il Pisotti, un suo amico che viveva più in basso. «Salve, Manué - gli fece il nuovo venuto - Ho saputo che anche a te, tutto il raccolto di ulive è andato in malora. Ed ora, che si fà?».
«Andrò giù a lavorare - ripose, ingrugnato il Banchero - Che altro si può fare...?».
«Ci sarebbe un'altra possibilità - rispose il Pisotti - Mi hanno detto che vicino a Genova, un certo generale Garibaldo, stà preparando una spedizione verso la Sicilia...».
«La Sicilia? Quella che stà laggiù, laggiù? E che cosa ci spedisce? Non ci spedisce niente... Stà organizzando un gruppo di soldati per andare a liberare i siciliani dal governo borbonico...».
«Ma, allora, dimmi tutto! Si tratterebbe di andare a menare le mani... Stupidaggini! I soldati borbonici hanno le gambe molle. Vale più uno di noi che cinque di loro... Dopo poche schioppettate, se la daranno a gambe. Tieni conto, inoltre, che tutti i “siculi” saranno con noi... Ti garba poco? Pensaci: la paga è buona, il vitto assicurato... Io andrò a presentarmi questa sera. Se decidi di sì, passa da me» ... E se ne andò.
Il Banchero vi meditò un poco sopra; poi prese la decisione. Si rivolse ad un suo cugino, che aveva le proprietà confinanti; gli affidò i suoi miseri averi. Quindi, calzati gli scarponi migliori (quelli con cui andava a caccia), buttata a tracolla una borraccia con del vino, se ne scese a valle da Pisotti.
I due transitando per Bogliasco, Nervi, Quinto, giunsero in località «Sturla». Qua, davanti agli scogli, sullo stradale si stavano concentrando armigeri di diverse estrazioni e dialetti (ligure, piemontese, lombardo...). In un angolo, un ufficiale barbuto, seduto ad un tavolino e con davanti un grosso registro, provvedeva all'arruolamento. I nostri due amici erano giovani, baldi e sapevano, anche sparare! (erano entrambi cacciatori!) furono subito immatricolati.
Donne genovesi giunsero con ceste di vettovaglie e si cenò non male.
Venne la notte e, a mezzo scialuppe, tutti furono trasbordati su due piroscafi che si trovavano in rada. E che partirono verso il Sud.
In un porto, chiamato Talamone, si fece una sosta e vennero imbarcate divise ed armi. Il Banchero, come tutti, fu dotato di una uniforme dell'esercito senza fregi e stellette), una bella camicia rossa ed un fucile con una lunga baionetta puntuta. Il Pisotti, appassionato cacciatore, si stringeva al petto il fucile, quasi fosse una bella donna. Il Banchero, invece perplesso, brontolava: «C'è poco da stare allegri! con questo dovremo sparare, ma gli altri a loro volta, ci spareranno addosso».
«Zitto! - replicava il Pisotti - I soldati borbonici, hanno le gambe molle e scapperanno al primo colpo...!».
Ma non fu proprio così. Alla fine della navigazione, sbarcato nel porto di Marsala, il contingente si era appena inoltrato che fu investito da reparti nemici, molto più numerosi. I garibaldini dovettero battersi allo spasimo per non esere ributtati in mare... Fu una lotta durissima con colpi sparati a bruciapelo, feroci corpo a corpo, impiegando la baionetta...
Il Banchero, prono dietro un sasso, continuava a caricare il fucile ed a sparare: la canna gli bruciava tra le mani mentre lui, con un diavolo per capello, imprecava: «Ne arrivano sempre! Ma il Garibaldo non lo sapeva che saremo stati non uno contro cinque ma uno contro venti?... E, poi, questi, non hanno per niente le gambe molli...».
I borbonici attaccarono in ondate successive. Ma i garibaldini erano tipi tosti e picchiavano sodo. L'urto fu contenuto, bloccato, respinto... Ed anche qua, ad un certo momento, l'assalitore non volle confermare la leggenda delle «gambe molli». Dapprima indietreggiò poi si ritirò con la massima velocità.
La prima importante battaglia era vinta. Ci trovavamo a Calatafimi. Il resto è storia nota. Gli invasori, occuparono Palermo, attraversarono l'isola sino allo stretto di Messina, risalirono sino a Napoli.
Qua, i nostri due eroi furono congedati, ritornando con un cospicuo gruzzolo in tasca.
Il nostro Banchero, arrivato ai suoi poderi di Migone, trovò che il cugino li aveva ben accuditi. Erano stati tagliati i rami malati degli ulivi e stavano spuntando nuovi getti. Il raccolto a venire, serebbe stato di nuovo proficuo. Ma il nostro reduce, ora ben pasciuto passava molto tempo, in piazza nella cosiddetta «Società» (antesignana del «dopolavoro»). Qua in un ambiente fumoso ove si radunavano i paesani a bere ed a giocare a carte, ebbe modo di dilungarsi nei racconti delle sue avventure.
«Ma i siciliani - chiese una volta, un poco tendenziosamente uno del gruppo - vi furono grati per la liberazione?».
«Beh! - fece Banchero - chi sì e chi no... Certo vi furono delle feste, facemmo delle sfilate... Molti, però dissero che la nostra venuta aveva provocato disordini, villaggi bruciati, rappresaglie ruberie... Il fatto è che molti di noi allungavano le mani sulle donne... ed i siciliani sono molto gelosi delle loro donne... così spesso scoppiavano delle risse e, delle volte, ci scappava pure il morto. Il quale veniva poi ed immancabilmente, aggregato ai gloriosi caduti per la libertà. Ricordo anche un triste episodio.. La ribellione (contro di noi) di un certo paese, chiamato Bronte... Ci sono stato: vedeste che belle ulive e c'erano pure i mandorli... Partimmo un gruppo comandato dal generale Bisio. Lui non andò molto per il sottile: ogni abitante che si incontrava veniva abbattuto come un cavallo rognoso... E poi, sulla piazza, vi fu una fucilazione generale dei paesani... Un vero macello! Il Pisotti non riuscì a mangiare per tre giorni. Che volete? Delle guerre si raccontano solo le cose gloriose, specialmente se si vince... le brutture, si tacciono...».
Una sera il Pisotti, esibì dei ricordi di quella campagna. Allineò sul tavolo tre orologi a cipolla con relativa catena d'oro più quattro collane da donna, di vario colore.
«Regali?» gli chiese dubbioso uno. «No - rispose il Pisotti - Un giorno mentre avanzavamo, un tale che mi stava davanti cadde, secco per una pallottola vagante. Si doveva, in questi casi e, sempre che ve ne fosse il tempo prelevare dai caduti un qualche documento, il numero di matricola. Frugando quel tale, mi vennero in mano queste cose... che avrei dovuto farne? Lasciarle là, perché se le prendesse un altro?» «Ma certo no - gli risposero tutti - hai fatto benissimo».
Post Scriptum. Questa mia versione (molto di fantasia) delle vicende del nostro Banchero (a prescindere) da qualche puntata polemica circa episodi di poca gloria), viene, in sostanza a giocare a favore dello stesso confermandolo «volontario garibaldino».
Vox populi. Invece tramanda versione ben diversa dei fatti; il Banchero, savonese di origine, era un marittimo addetto al reparto macchine sui vapori della Compagnia Marittima «Rubattino», quella che aveva fornito le due navi per la spedizione dei Mille. Quando i volontari si imbarcarano a Quarto, lui si tovava già a bordo, addetto al suo normale lavoro. Quindi, niente volontariato per andare a liberare la Sicilia. Certo giunse con la spedizione laggiù ma pare non prese per nulla parte alle operazioni di guerra e se ne restò a bordo... Lo confermerebbe il fatto che, a campagna conclusa, gli sarebbe stata riconosciuta la «medaglia commemorativa» della stessa ma nessun «soprassoldo» particolare (dovuto ai combattenti).
Si dice che, per questo fatto, si licenzò dalla Compagnia e se ne andò in sud America (Perù, Cile?) ove, sbarcato, si trattenne diversi anni, facendo non si sa quale lavoro mettendo pure su famiglia con una donna locale.
Ma la nostalgia dell'Italia, lo riportò dopo in patria cancellando bruscamente l'episodio di vita nell'America latina.
Quale ex marittimo non poteva che capitare in Liguria. Qua, conobbe una donna di Pieve Ligure, la sposò e venne a vivere in località «Migone», nella casa che reca la famigerata lapide commemorativa.
Nei paraggi aveva bazzicato, in quegli anni, un altro Banchero che aveva effettivamente preso parte quale combattente, alla spedizione dei Mille.
Al nostro Emanuele per omonimia furono attribuite (o si attribuì) le vicende gloriose di quell'altro Banchero, nel frattempo sparito nel nulla. E, pare lui si immedesimò facilmente in quella parte.
Visse a Pieve, eroe a riposo, e vi morì nell'anno 1900.

dopo circa cinquant'anni (1955), una lapide (quella attuale) venne a sancire che lui, Banchero Emanuele fu, effettivamente «uno dei Mille ed aveva partecipato alla liberazione della Sicilia».
Le ali della gloria a volte distrattamente si protendono a coprire anche degli immeritevoli.

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