E a Berlino il cinema orientale soffoca gli States

Nella rassegna che si apre il 9 febbraio largo spazio a Cina, India e Iran. In gara Altman, Chabrol e, unico italiano, «Romanzo criminale» di Placido

Salvo Trapani

da Berlino

Forte di un mercato di oltre novanta milioni di spettatori di lingua tedesca, Berlino mette in un angolo Hollywood, per un Festival da fini intellettuali. Il direttore della rassegna, Dieter Kosslick, non batte ciglio di fronte alle accuse di antiamericanismo per un’edizione, la numero 56, che durerà dal 9 al 19 febbraio e promette di essere tra le più politicizzate degli ultimi anni. Se gli artisti americani dovranno accontentarsi delle briciole, saranno comunque ben rappresentati: Tommy Lee Jones, Meryl Streep e Kevin Klein in concorso con A Prairie Home Companion di Robert Altman, Sigourney Weaver con Snow Cake di Marc Evans e George Clooney - fuori concorso - con Syriana di Stephen Gaghan.
Ma neanche il cinema degli europei illustri ha avuto molto spazio nel concorso: l’inglese Michael Winterbottom, vincitore nel 2003 con In This World, è presente con The Road To Guantanamo e il francese Claude Chabrol, sempre affiancato dalla sua eterna musa Isabelle Huppert, con L’Ivresse du pouvoir. Infine l’Italia, delusa per l’esclusione di Marco Bellocchio al quale i Festival portano sfortuna, come a Venezia ’60, quando il Leone d’oro gli venne soffiato sotto il naso dall’opera prima di un russo rimasto sconosciuto. A Berlino ci sarà solo Michele Placido con Kim Rossi Stuart e il film Romanzo criminale. Presente ma fuori concorso nel Berlinale Special sarà anche Roberto Benigni, forse più atteso di Placido, con La tigre e la neve.
Per il resto è tutto un tripudio di opere provenienti dall’Asia e dall’Africa: Iran, Tahilandia, Cina, India, perfino Butai. In piccolo lo stesso destino della presidentessa della giuria internazionale, l’affascinante inglese Charlotte Rampling, che sarà attorniata da colleghi in gran parte extraeuropei. Davanti a una stampa piuttosto perplessa, un Kosslick molto divertito, ha aggiunto: «Questo programma non è sperimentale ma in linea con una idea di base: la Berlinale deve raccontare il cinema di tutto il mondo; ma resta coerente con i miei tre fondamenti dell’esistenza: il sesso, il cibo e il cinema». Il sesso, ormai presente dovunque in dosi massicce, non è una grande novità, mentre l’arte culinaria fa per la prima volta il suo ingresso in grande stile in un Festival, con una sezione su misura. Ovvia la complicità dell’Italia: Carlo Petrini in sinergia con l’Istituto di Cultura italiano e il Talent Campus, darà spazio a una serie di conferenze sul tema. Ma il nome dell’Italia echeggia al Festival per una nuova ondata antiberlusconiana: quest’anno è la volta di Bye Bye Berlusconi del tedesco Jan Henrik Stahlberg con interpreti italiani. Forse non è un caso che sia presentato alla vigilia delle elezioni del 9 aprile. Anche se Cannes l’antibushiano Fahrenheit 9/11 non sortì l’effetto desiderato.
In tema di classici da festival, anche nella Berlinale, la sezione di serie B, ovvero il Panorama, offre cinema di grandi star, purtroppo assenti: valga per tutti Stay di Marc Forster con Ewan McGregor, Naomi Watts, Bob Hoskins.

Viene in mente la battuta di Nicole Kidman, che due anni fa presentò qui The Hours: «Il Festival di Berlino è proprio straordinario, ma si svolge in un periodo dell’anno dal freddo straordinario». Le star, si sa, amano un posto al sole.

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