Ecco perché difendo il capo talebano

Nei primissimi giorni di gennaio il Mullah Omar viene finalmente individuato, grazie ai satelliti, presso certe tribù che vivono sui «monti neri» sopra Bagram. Mentre tutti lo cercavano in Kandhar assediata, Omar vi è rimasto solo poche ore. Nella notte del 7 dicembre, il giorno stesso in cui aveva ordinato la resa, è riuscito a sgusciar fuori dalla città rompendo l’accerchiamento, insieme a 1500 fedelissimi, aiutati da Walid, uno dei capi tribali dei «monti neri» che gli ha dato rifugio nei suoi territori. Ma adesso è lì, è individuato e questa volta non può più sfuggire. Se infatti per prendere Osama Bin Laden gli americani hanno spianato inutilmente le montagne di Tora Bora, sapendo che è come cercare un ago in un pagliaio, per il Mullah Omar muovono le truppe di terra, i reparti speciali. Perché lo vogliono prendere davvero. Ai loro occhi, agli occhi dell’intero Occidente, il Mullah Omar rappresenta l’Orrore allo stato puro. Più di Bin Laden, che in fondo è comprensibile perché le sue logiche, anche se in contrapposizione, sono pur sempre simili alle nostre, più di Saddam Hussein, più di qualsiasi tiranno o tirannello col quale si può sempre venire, e si viene, a patti, quando non sono addirittura nostri preziosi e prezzolati alleati, come Mubarak e Ben Alì o, in passato, lo Scià o Pinochet, e poco importa se sono corrotti fino al midollo e schiacciano le loro popolazioni sotto regimi di polizia più o meno sanguinari. Con loro ci si intende. Mentre il Mullah Omar è veramente «l’alieno», l’«altro da sé», «il mostro». Nell’era della modernità trionfante, avanzante e conquistante osava proporre l’Antimodernità, una società del tutto diversa, pauperista, in antitesi concettualmente radicale al modello di sviluppo occidentale. Écrasez l’infâme!
I marines si attestano intorno ai territori tribali e danno a Walid due giorni di tempo per consegnare il latitante. Gli americani non vogliono sentir parlare di trattative. La portavoce del Pentagono Victoria Clarke dichiara: «Omar sarà catturato, oppure si arrenderà da solo. O sarà ucciso in battaglia. Ma niente trattative. È un criminale di guerra».
Sono gli alleati a chiedere di poter trattare, senza coinvolgere gli americani, perché Omar ha pur sempre con sé 1500 uomini armati e decisi a tutto. E anche Walid, che è stato per anni un bastione talebano in quelle regioni, ha molti uomini e armi. Si confida però sul fatto che Walid – almeno questa è la sua fama – è uomo molto sensibile al denaro. E sulla testa di Omar pende una taglia di 25 milioni di dollari, la stessa di Bin Laden. Si pensa che il Mullah più che un rifugiato potrebbe essere per Walid un prezioso e lucroso ostaggio.
Un ministro del nuovo governo afgano, Mohammed Amin Faharang, annuncia alla televisione pubblica tedesca ADR che il Mullah Omar è già stato arrestato. Gli americani sono però inquieti. Un ufficiale dei servizi segreti afgani, Nuaraf Ullah, in comunicazione satellitare col comandante supremo della missione afgana, Tommy Franks, che se ne sta a Tampa, in Florida, urla al telefono: «State tranquilli. I capi tribali che proteggono il Mullah Omar sono già d’accordo e prima di domani, per soldi o per disincanto, ce lo consegneranno. Se poi non sarà così pioveranno di nuovo bombe». Ma le trattative vanno per le lunghe. Walid si dichiara leale al governo, ma prende tempo.
Quando i marines, passati i due giorni, irrompono finalmente nei territori tribali trovano solo dei contadini al lavoro sui campi e qualche asinello. Del Mullah non c’è traccia. È sparito di nuovo.
Walid ha fatto solo finta di trattare, per permettere a Omar di guadagnare terreno sui suoi inseguitori.
Tocca al portavoce del ministero degli Esteri afgano, Omar Samad, l’imbarazzante compito di informare gli americani: «Slipped.

Sgusciato. Quello più che un uomo è un enigma. Un mistero».
Dopo aver ordinato ai suoi ultimi seguaci di disperdersi, per non offrirsi al nemico, liberandoli da ogni obbligo di fedeltà, Omar è fuggito, da solo, in moto.

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