Gli arabi di Abu Dhabi in discesa su Unicredit

Il fondo prepara un prestito convertibile per cedere almeno il 3% del capitale Abi e sindacati rompono sul contratto

Aabar, il fondo sovrano di Abu Dhabi, si prepara ad alleggerire la sua presenza in Unicredit dal 5% al 3%, dopo quasi cinque anni di militanza come primo socio. La società araba è infatti in procinto di mettere le sue azioni al servizio di un bond convertibile fino a 2 miliardi di euro. In particolare Aabar venderà i bond in due tranche da 750 milioni ciascuna, entrambe incrementabili di 250 milioni, con scadenza nel 2020 e nel 2022 rispettivamente. Aabar precisa comunque che resterà pienamente impegnato nel suo investimento a lungo termine in Unicredit. Al bond starebbero lavorando Deutsche Bank, Bnp Paribas, Société Générale e Bank of America.

I rumor arrivano mentre fervono i lavori per le liste per il consiglio dell'istituto guidato da Federico Ghizzoni, in scadenza con l'assemblea del 13 maggio. Si era parlato di un certo malumore dei soci arabi, in particolare sulla conferma del presidente Giuseppe Vita, fino al punto di ipotizzare una seconda lista, in asse con la Fondazione Cariverona, che candidasse il presidente di Sace, Giovanni Castellaneta. Rassicurazioni sulla compattezza della compagine sociale sono comunque poi arrivate sia da Ghizzoni («non avverto tensioni particolari tra i soci») sia da Luca di Montezemolo, vicepresidente di Unicredit in quota proprio agli arabi: «Stiamo preparando una lista unica, un'ottima lista, non ci sono problemi tra i soci». Fino ad ora l'avventura di Aabar in Unicredit non è stata particolarmente felice dal punto di vista finanziario. Dal giugno del 2010, quando il fondo ha fatto il suo ingresso attraverso un collar (operazione finanziaria che consente di attutire le perdite), il titolo ha ceduto più del 40%: -0.48% a 6,27 euro la chiusura di ieri.

Ma a essere in fermento, in attesa del riassetto legato alle attese nozze tra le banche popolari, è l'intero settore del credito: ieri si è consumata un'altra rottura tra l'Abi e i sindacati sul rinnovo del contratto di categoria. Il punto di non ritorno è stata la mancata garanzia, da parte dell'Abi, dei 309mila addetti del settore avanzata dai sindacati in cambio di minori rivendicazioni economiche. Richieste «irrealizzabili», secondo Alessandro Profumo che guida le trattative per le banche come capo del “Casl“, perchè i sindacati non terrebbero in considerazione la crisi e le prossime aggregazioni.

La Fabi ha stigmatizzato come l'Abi abbia rifiutato sia la proposta di inserire nuovi mestieri in filiale sia la firma di un patto per l'occupazione giovanile. Da fine mese i bancari sono senza contratto, e si va verso un altro sciopero.

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