A prima vista, sembra che il Dragone si sia svegliato. In Cina, lo scorso anno, la crescita ha toccato il 6,9% contro il 6,7% del 2016. È la prima volta, dopo sette anni di continui aggiustamenti al ribasso, che il Pil mostra un miglioramento rispetto ai 12 mesi precedenti grazie all'apporto delle esportazioni (+10,8%) e alla tenuta della domanda interna (+10,2%).
Al di là delle dichiarazioni ufficiali improntate all'ottimismo, Pechino non ha però molti motivi per gioire. A parte gli squilibri macroscopici legati al debito, attorno al 260% del prodotto interno, su cui si è posata la lente del Fondo monetario internazionale; a parte un sistema finanziario opaco e le ricorrenti accuse di dumping, l'ex Celeste Impero ha un drammatico problema di credibilità relativo proprio al reale stato di salute economico dovuto al sistematico taroccamento dei dati di crescita in alcune macro-regioni. Ad ammetterlo, nel dicembre 2016, era stato Ning Jizhe, direttore dell'Istat cinese: «Alcune statistiche locali sono falsificate e di tanto in tanto si verificano frodi e inganni», aveva dichiarato al People's Daily. Una recente analisi compiuta dal Financial Times prende in considerazione gli anni dal 2012 al 2016, durante i quali emerge che in molte delle aree settentrionali del Paese i dati sono stati gonfiati. E non di poco. Nel caso della Mongolia interna, addirittura del 40%. Una vicenda analoga, che ha generato un forte scandalo in Cina, è quello della provincia nord-orientale del Liaoning, che ha ammesso di avere falsificato i dati per anni. Alla lista si aggiungerebbero anche la città portuale di Tianjin, alle porte di Pechino, e la provincia dello Shanxi, fortemente dipendente dal carbone, che assieme all'acciaio è stato al centro dell'intervento del governo per contenere la sovrapproduzione industriale.
Anche se il governo centrale ha minacciato severe punizioni per i falsificatori di Pil, il problema non è di facile soluzione. I politici locali sono infatti valutati in base alla loro capacità di raggiungere o superare gli obiettivi di crescita pianificati centralmente. Obiettivi che, evidentemente, sovrastimano le capacità di sviluppo delle aree periferiche.
Forse proprio per cercare di risollevare l'economia delle aree più difficili, il gigante del retail online cinese, Jd, ha annunciato ieri investimenti per oltre tre miliardi di dollari (venti miliardi di yuan) nella «rust belt» cinese (ovvero le province del nord-est di Liaoning, Jilin e Heilongjiang) per l'ammodernamento industriale e la creazione di migliaia di posti di lavoro.RP
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